Troppe madri piangono i loro figli, uccisi dalla droga, come da quei disagi inspiegabili, stesso inimmaginati, che provocano dolore e disperazione estrema; quelli che riducono in solitudine e costringono l’anima a smarrirsi nel vuoto esistenziale; quelli che assumono un peso talmente enorme, da sembrare insuperabili, se non la si fa finita.
“Vi vogliono far credere che fumare una canna è normale, che faticare a parlarsi è normale, che andare sempre oltre è normale. Qualcuno vuol soffocarvi”.
“Diventate protagonisti della vostra vita e cercate lo straordinario. Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi, invece di mandarvi faccine su whatsapp. Straordinario è avere il coraggio di dire alla ragazza sei bella, invece di nascondersi dietro a frasi preconfezionate”. “Straordinario è avere il coraggio di dire ciò che sapete.
Per mio figlio è troppo tardi, ma potrebbe non esserlo per molti di voi, fatelo”.
In questa lettera, è concentrata tutta la disperazione di una madre, che non si perdona di non aver capito, quanto fosse importante il dialogo familiare, il dare il giusto peso ad ogni disagio, un attimo prima che il figlio cercasse rifugio in altre cose, che erano ben lontane dall’affetto dei suoi cari.
“In queste ore ci siamo chiesti perché è successo, ma a cercare i perché ci arrovelliamo. La domanda non è perché, ma come possiamo aiutarci. Fate emergere i vostri problemi”.
A questa madre, hanno spezzato il cuore: suo figlio non c’è più. Il suo è un grido di dolore e di rimpianto, che vorrebbe delle risposte, che adesso servirebbero a poco.
Purtroppo, i giornali di cronaca si riempiono anche di storie di ragazzi e ragazze che si tolgono la vita, perché non capiscono cosa fare della propria esistenza. Sono paralizzati, forse, di fronte ad un futuro troppo incerto e fragili sotto il bombardamento di emozioni, che la società impone, come pretesto di libertà.
Ecco cosa scrisse una ragazza, nei bagni di una stazione di Roma, prima di suicidarsi: “Riconosco che mi avete voluto bene, ma non siete stati capaci di farmi del bene. Mi avete dato tutto, anche il superfluo, ma non mi avete dato l’indispensabile: non mi avete indicato un ideale per il quale valesse la pena di vivere! Per questo ho deciso di togliermi la vita!”.
Questa è la realtà di molti giovani: la “non speranza”, la paura e la poca capacità di lottare per cambiare le cose.
Perché una madre (come chiunque altro) non riesce a dar loro la serenità e a trasmettere il valore di una vita che va vissuta, a prescindere dalle condizioni economiche, fisiche o di qualunque altro genere?
Spesso i malesseri dei giovani sono momentanei, ma si fanno percepire per assoluti, così, ci si inabissa nel proprio malessere e si preferisce la certezza della morte, all’incertezza della vita.
A poco serve cercare un colpevole, per questi tragici eventi, meglio trovare il modo per prevenirli.
Antonella Sanicanti