Quanto ci fa paura la morte? Siamo pronti ad affrontarla, a parlarne, a considerarla, come diceva San Francesco, “sora nostra morte corporale”?
Domande difficili che ciascuno di noi, almeno una volta nella vita si è posto. C’è differenza, però, se a parlare della morte sono gli adulti, rispetto ai più piccini. Ma quando sono proprio loro a farci domande sulla questione, cosa dobbiamo rispondere?
Un sacerdote ci aiuta a capire quali, dal suo punto di vista, possono essere le parole giuste da usare con i piccoli per parlare della morte.
I bambini e la morte: un dialogo difficile
La morte, il distacco, la distanza che ci dividerà per sempre: sono degli “argomenti scomodi”, ai quali nessuno di noi vorrebbe mai avvicinarsi. Pensiamo, infatti, che sarà la vita stessa a presentarceli davanti quando sarà necessario e opportuno: ma se ragioniamo in quest’ottica, rischiamo di arrivare impreparati e non sapere cosa fare o dire in quel momento.
Tutti noi abbiamo paura della morte, è inevitabile negarlo. Abbiamo paura di lasciare tutto, i nostri affetti, le nostre cose e, anche se siamo credenti, spesso abbiamo paura di sapere “cosa c’è al di la”, e se siamo destinati all’inferno, al paradiso o al purgatorio.
Questo tipo di riflessione è quella che un adulto si appresta a fare. Ma, se ci facciamo caso, non è semplice parlare della morte e del passaggio all’altra vita a dei bambini. Eppure loro ci fanno domande, chiedono, specialmente quando una persona a loro cara (un nonno, ad esempio) vola in cielo e non lo vedranno più. Come rispondere alle domande dei bambini sulla morte? Possono loro capire un argomento così grande che, a noi adulti, fa paura a prescindere?
Il sacerdote: “La morte è una realtà che spaventa noi adulti”
Abbiamo chiesto ad un sacerdote come fare per affrontare, specialmente con i più piccoli (ma che possa esser d’aiuto anche a noi) tutto questo: “E’ un argomento molto particolare e delicato. Io partirei da un concetto: sebbene noi siamo adulti, tuttavia c’è una lecita paura della morte. È una realtà che ci spaventa, a prescindere che uno sia cristiano o meno. Un cristiano la vive con un altro spirito, lì dove c’è la fede nonostante la paura. E dico nonostante, perché la paura della morte ci sarà sempre, perché comunque rimane una realtà sconosciuta. Solo chi la sperimenta poi ha una risposta, ma fino a quando siamo in questa vita, noi vediamo solo un corpo che non ha vita. E questo ci turba”.
Come iniziare a parlare e a spiegare la morte ai più piccoli? “La fede ci aiuta a vedere la morte con la speranza, proprio come diceva Primo Mazzolari. A me è sempre piaciuto pensare che Dio abbia, in qualche modo, nascosto, anche questo mistero della morte, nella natura stessa. E questo può essere un buon elemento da cui partire per spiegare la morte ai più piccoli.
I bambini sono intelligentissimi, sono più intuitivi di noi e l’errore che si fa è pensare che a loro bisogna nascondere la verità. Questa è una cosa molto grave. Quando noi nascondiamo la verità ad un bambino, perché pensiamo che è ancora delicato e non ha una coscienza ben formata, lui inizia a colpevolizzarsi di tutto e in tutto. E questo non va bene” – spiega.
Una cultura che ha paura, già, della parola “Morte”
Perché sembra così difficile affrontare un problema del genere con i bambini? Ed un po’ c’entra anche la nostra cultura: “Il problema dell’Occidente è, secondo me, questa tendenza ad esorcizzare la morte e la vecchiaia. Sembra che parlare di questi due argomenti sia come un tabù, a partire già dal nostro modo di comunicare. Io non sento mai dire a qualcuno: “Sta morendo”, oppure “E’ morto”. Ma sempre “E’ finito”. perché non dire “E’ morto”? Fa paura già la parola di per se. E ancora di più lo fa parlarne ai bambini” – continua il sacerdote.
Parole semplici sì, ma c’è uno schema preciso, un esempio pratico per dire ai bambini cos’è la morte? “No, non c’è uno schema. La cosa importante, quando un bambino ti fa una domanda sulla morte, è far comprendere che nella vita esiste un ciclo di vita e di morte, in tutte le cose, iniziando proprio dalla natura stessa che ci circonda. Le piante, gli animali e, infine, anche l’essere umano. Quindi già parlare della morte come un evento che fa parte della vita, potrebbe aiutare i bambini a non soffrire di questo pensiero, a non avere angosce in merito, ma quanto meno ad avere l’idea che la morte esiste”.
Ma quando arrivano delle domande specifiche?: “Quando, però, un bambino arriva a fare la domanda: “Mamma ma tu un giorno morirai?”, secondo me bisogna innanzitutto farsi vedere e parlare con una certa serenità perché, come dicevo prima, i bambini intuiscono subito come ragioniamo, se usiamo certe espressioni rispetto al solito… Diciamo loro che la morte è una realtà che fa parte della vita e spiegarlo attraverso gli eventi della vita stessa: dall’erba che cresce e poi dissecca, dall’albero che ha il suo ciclo vitale, fino ad arrivare anche alle persone a lui vicine…perché la vita è questo.
“La morte è una realtà che c’è e i bambini hanno diritto di sapere”
Già fargli presente che esiste la morte come realtà e che bisogna parlarne soprattutto quando lo chiedono. A differenza dei bambini di una volta, quelli di oggi sanno: vedono la tv, i film e, anche nei cartoni animati, vedono scene dove c’è la morte. E da qui iniziano a porsi delle domande. Se noi avessimo il coraggio di rompere il tabù della morte e di parlarne di più, di certo non elimineremo la sofferenza dinanzi ad essa, ma avremo più coraggio di sapere che è una realtà che c’è e saremo più disposti ad accoglierla, pur soffrendo”.
Dal punto di vista della fede, il sacerdote cerca di aiutare anche a far capire il concetto della vita eterna, a partire proprio dai più piccoli: “Usando le parole di Chiara Corbella: “Siamo nati e non moriremo più”. Questo passaggio, con i bambini, è molto più fattibile, anche se sappiamo bene che loro vorranno delle prove che non possiamo fornirgli. Allora dobbiamo spiegargli la fede attraverso esempi che il Signore stesso ci ha dato, uno su tutti quello del chicco di grano.
Che cos’è la vita eterna? È la spiga che nasce dal chicco di grano che muore. Che cos’è la vita eterna? È la farfalla che esce dopo la morte, nel bozzolo, del bruco. Una cosa che era bella e che, morendo, diventa ancora più bella”.
La vita eterna: da una cosa bella, ad una più bella
C’è, però, un’osservazione che il sacerdote fa: “Facciamo caso che, quando succede che qualcuno muore, al bambino o si dice “che è partito” o che “sta dormendo”. Riallacciandoci al discorso di prima, questo per il bambino è un danno enorme, perché non gli stiamo dicendo la verità e stiamo sottovalutando la sua intelligenza, pensando che sono innocenti e non capiscono la morte. Tendiamo a dare delle risposte che possono scatenare in loro paure innate (tipo quella di non voler più dormire, perché poi hanno paura di morire).
La stessa cosa è dire “è partito”, sempre in riferimento a una persona cara al bambino che è morta. Dire che il nonno o la nonna sono partiti per un lungo viaggio e che si sta aspettando il loro ritorno, quando questi non torneranno più. Della morte bisogna parlare come una realtà che c’è. Ma sul piano della fede, bisogna anche dire loro che, un giorno. Non sappiamo né come né quando, il nonno e la nonna li rincontreremo.
La fede apre alla speranza, anche nei bambini” – conclude il sacerdote.