Da giorni in Italia, tv, radio, giornali, lo nominano. Chiamato a risolvere tutti i problemi fino a decantarne e a ostentarne le qualità.
Nel descrivere il personaggio, tuttavia, molti si sono soffermati anche sui suoi legami con il mondo cattolico, e in particolare con Papa Francesco. Dalla nomina a membro della Pontificia Accademia di Scienze Sociali, il 10 luglio 2020 per volere di Bergoglio, ai suoi studi da giovane nel prestigioso liceo romano “Massimo” gestito dai gesuiti, e presieduto dal padre Franco Rozzi.
Si dice che in Vaticano, di conseguenza, Draghi abbia ottime referenze, frutto del rapporto di stima nientemeno che con il Pontefice. I due si sono incontrati in più occasioni, nel 2013 quando Draghi fu ricevuto in udienza con la famiglia e nel 2016, quando a Papa Francesco venne conferito l’importante e memorabile premio Carlo Magno.
Un momento eccezionale soprattutto per il discorso che Papa Francesco fece a tutti i leader europei. Si trattò di una vera e propria strigliata di orecchie, richiamandosi a un’Europa oggi “vecchia e stanca”, ben lontana da quel sogno di “umanesimo europeo” costruito da padri fondatori, tutti cattolici e in via di beatificazione, come Schumann, Adenauer, De Gasperi.
In quell’occasione Draghi sedeva in prima fila accanto ad Angela Merkel. Oggi, il suo nome è spuntato in più occasioni sulla rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica, organo “ufficioso” della Santa sede per il legame inevitabilmente stretto tra il direttore della rivista, il padre gesuita Antonio Spadaro, e Bergoglio.
Nel novembre 2019 si leggeva infatti del “contributo di Draghi all’Europa“, e della sua capacità di “prendere decisioni sulla base di analisi rigorose, con audacia e guidato da una visione altissima dell’Europa, unita ben oltre la moneta come nel progetto dei Padri fondatori”.
Una vera e propria lode, che a ben rileggerla è parsa, in realtà fin da subito, un forte endorsement alla figura di Draghi, da spendere al meglio possibile nella politica italiana in affanno già allora, prima dello scoppio della pandemia.
“Mario Draghi emerge come policy maker di altissima statura: alla gratitudine si aggiunge l’auspicio che il suo modo di procedere senza retorica, con approfondimento e visione, venga assunto in ambiti più ampi della politica sia europea sia italiana. E’ stato decisivo per salvare l’Unione economica e monetaria”, scriveva ancora la rivista dei gesuiti.
Draghi è stato anche il vero protagonista dell’ultimo Meeting di Rimini, la kermesse riconducibile al movimento di Comunione e Liberazione dove l’ex presidente della Bce aveva tracciato un vero e proprio programma di Governo, che risuona oggi su tutte le prime pagine dei giornali.
In quell’occasione Draghi aveva parlato di debito buono e cattivo, di responsabilità, di future generazioni. Ma da tempo girava il suo nome, prima come Presidente della Repubblica, subito dopo la fine del prestigioso incarico alla Banca centrale europea che gli ha valso il titolo di “salvatore dell’euro”, frutto dell’arcinota espressione “whatever it takes“. Salveremo l’euro ad ogni costo, voleva significare.
Da tempo però i suoi interventi circolano nell’ambiente cattolico, e sembrano avere buoni punti di incontro con il pensiero cattolico sull’economia. Anche perché, per il resto, Draghi è un’economista, su altri temi come quelli etici non si è mai espresso né mai probabilmente lo farà; tutto dipenderà dal tipo di governo che prenderà vita, e se questo avrà un carattere più tecnico o politico.
“La crisi attuale conferma la necessità di un rapporto fra etica ed economia, mostra la fragilità di un modello prono a eccessi che ne hanno determinato il fallimento“, scriveva nel 2009 sull’Osservatore Romano Draghi, allora governatore della Banca d’Italia.
Non pochi invece storcono il naso per il suo elitarismo, che lo accredita come, a ragion veduta probabilmente, “l’uomo dei poteri forti”. Alcuni hanno fatto notare che l’istituto Massimiliano Massimo, nel quartiere romano dell’Eur, ha visto passare sui suoi banchi, tra gli altri, l’imprenditore Luca Cordero di Montezemolo, l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, il banchiere Luigi Abete e il diplomatico Staffan De Mistura. Oltre che numerose personalità dello spettacolo e della vita pubblica.
Insomma, non proprio uno degli ultimi istituti della città, la cui retta annuale oggi ammonta a ottomila euro l’anno. Il che è potrebbe non giovare alla sua figura, qualora intenda accreditarsi come l’uomo della giustizia sociale e dell’istruzione pubblica e per tutti.
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Oggi le forze politiche italiane sembrano volergli conferire, quasi all’unanimità, fiducia al suo mandato. Saranno i temi proposti a capire quale sarà il vero valore di Draghi. Nel frattempo, la corsa alla “beatificazione” anticipata è già partita. Sullo sfondo risuona però l’aforisma del drammaturgo Bertold Brecht: “Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi“.
Giovanni Bernardi
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