La storia toccante di un ragazzo che, nonostante la sua giovane età, non ha esitato a donare la sua vita a Cristo. In uno dei momenti più bui della storia sociale e religiosa del suo Paese, ha voluto essere di Cristo e accanto a Cristo sino alla fine, senza mai tirarsi indietro.
Josè, nonostante la tortura e i modi brutali, ha deciso di seguire la sua fede sino alla fine dei suoi giorni, diventando un giovane martire, di esempio per ognuno di noi.
Un giovane ragazzo che diventa un esempio
Era il 28 marzo del 1913 quando, in una città del Messico, nasceva un bambino che sarebbe diventato un giovane martire della fede di lì a qualche anno. Si chiamava Josè Luiz Sanchez Del Río ed era un ragazzino come tutti gli altri.
La sua vita semplice, normale ma felice verrà scombussolata quando il Messico verrà sottomesso ad un presidente tirannico e massone: Plutarco Elias Calles. Era un uomo crudele che intraprenderà nel paese una delle più gravi e cruente persecuzioni che la chiesa cattolica abbia mai visto e subito in tutto il XX secolo. Calles aveva un intento: quello di “librare la nazione dal fanatismo religioso”, attaccando militarmente e non solo preti, suore, frati e anche semplici fedeli.
Le chiese vennero confiscate, tanti i fedeli e gli uomini di Dio uccisi. Una vera e propria persecuzione contro i cattolici. Resistere? Ma come? Fino a quando un gruppo di cattolici decise di imbracciare le armi per difendere, proprio, la loro fede in Dio. Resistere e sopravvivere, per una guerra che passerà alla storia come la “Guerra Cristeros”.
Josè si arruola nei Cristeros
Il giovane Josè non era ancora in “età d’armi” ma un giorno, visitando la tomba del beato martire Anacleto González Flores, morto durante la persecuzione, chiese, nella sua preghiera, a Dio di morire anche lui per mantenere la sua fede, anche nel suo Paese. Con questo intento, si recò dal generale Prudencio Mendoza, per poter entrare nell’esercito cristero. Al veder arrivare questo ragazzino di soli 13 anni, la domanda del generale fu solo una: “Che ci fai qui, ragazzo mio?”.
La risposta di Josè fu esemplare: “Sono venuto qui per morire per Cristo Re”. All’udire queste parole, così cariche di fede, il generale approvò il suo ingresso nell’esercito. Furono tante le battaglie che il giovane dovette affrontare durante il suo anno di attività nell’esercito, fino a quando, insieme ad alcuni suoi confratelli, fu sorpreso in un’imboscata e catturato.
Durante una battaglia, il 25 gennaio 1928, il cavallo del suo generale fu ucciso e José gli cedette tempestivamente il suo così da permettergli di ritirarsi. I cristeros, a corto di munizioni, tentarono di coprire la ritirata, ma alla fine l’esercito federale ebbe la meglio e riuscì a catturare diversi prigionieri, tra cui lo stesso José.
La sua cattura e l’inizio delle torture per farlo abiurare
Il 7 febbraio fu condotto nella sua città natale dove venne imprigionato in una chiesa parrocchiale ormai profanata e devastata dai federali. Il deputato Rafael Picazo che ebbe in custodia José insieme ad altri prigionieri, gli propose delle alternative che lo avrebbero salvato dalla condanna a morte: pagare un riscatto di 5.000 pesos o accettare di essere mandato all’accademia militare. José rifiutò entrambe le proposte e rimase in prigionia fino al 10 febbraio giorno in cui fu martirizzato.
Nella prima notte di prigionia scrisse una lettera alla madre: “Mia cara mamma: sono stato tenuto prigioniero in battaglia questo giorno. Credo che in questi momenti morirò, ma non importa niente, mamma. Rassegnati alla volontà di Dio; io muoio molto felice perché alla fine di tutto questo, muoio accanto a Nostro Signore.
Non preoccuparti per la mia morte, che è ciò che mi mortifica. Prima di’ agli altri miei fratelli di seguire l’esempio del più piccolo, e tu fai la volontà del nostro Dio. Abbi coraggio e mandami la tua benedizione insieme a quella di mio padre. Saluta tutti per l’ultima volta e tu ricevi per ultimo il cuore di tuo figlio che tanto ti vuole e tanto desiderava vederti prima di morire”.
La morte con il nome di Cristo sulle labbra
Fu sottoposto a numerose torture fino al giorno della sua esecuzione, il 10 febbraio. In quella data, gli fu fatta la tortura più atroce: gli fu scuoiata la pianta dei piedi e fu costretto a raggiungere a piedi il cimitero. Lì, posto davanti alla fossa in cui sarebbe stato sepolto, fu pugnalato non mortalmente e gli fu chiesto nuovamente di rinnegare la sua fede, ma José non lo fece e ad ogni ferita gridava “Viva Cristo Re”.
Chiese poi di venire fucilato, ma il capitano, innervosito dall’atteggiamento del ragazzo gli sparò sul posto con la sua pistola. José ormai agonizzante morì dopo essere riuscito a tracciare una croce sul terreno con il suo sangue. I cristeros lo soprannominarono “Tarcisius”, come il giovanissimo Santo morto per proteggere l’Eucarestia.
Il miracolo che l’ha portato ad essere Santo
E’ stato proclamato Santo il 16 ottobre 2016 da Papa Francesco, il quale ha riconosciuto come miracolosa la guarigione, scientificamente inspiegabile, di una bambina, nata nel 2008. La piccola era stata colpita, pochi mesi dopo la nascita, da un ictus, a causa del quale le erano stati dati tre giorni di vita.
Dopo che i genitori l’avevano affidata all’intercessione del beato José, al momento di staccarla dai macchinari che la tenevano in vita, la piccina ha aperto gli occhi e sorriso, tornando successivamente alla completa normalità.