Il consueto presepe in piazza San Pietro quest’anno, tra marziani e astronauti, è stato accolto da ben pochi applausi. Quando non da feroci critiche.
Non c’è il dolce viso di Maria e quello luminoso del Bambin Gesù, Luce del mondo, venuto a portare la salvezza all’umanità. Non c’è la paternità di san Giuseppe o la devota meraviglia dei pastori. C’è invece un presepe composto da un Bambin Gesù “avvitabile”, da un angelo con le “alette di raffreddamento”, e da un guerriero cornuto. Oltre a figure animalesche, un cosmonauta e altre figure totemiche.
L’opera è di fatto artisticamente piuttosto estranea al contesto della piazza e del colonnato del Bernini. Non c’è la grotta, non ci sono gli alberi o i ruscelli, ma c’è un traliccio di vetro e acciaio a protezione dalla pioggia, con uno strano neon zigzagato sullo sfondo, che dovrebbe rappresentare un monte ma assomiglia a un fulmine.
Non si tratta di un presepe figurativo, classico, bensì un’opera postmoderna, ma nemmeno particolarmente recente, visto che risale agli anni settanta. Anni in cui si concludeva il Concilio Vaticano II, un dato che ha evocato subito un diretto collegamento con l’evento che ha segnato più di tutti la Chiesa del ventesimo secolo. Ma che non manca di essere attaccato nelle sue applicazioni più estremistiche.
Le sensazioni che perciò l’opera ha comunicato a molti fedeli, di conseguenza, non sono proprio quelle tradizionalmente riconducibili a un presepe cattolico. Tutt’altro. Le prime impressioni sono state quelle di freddezza, estraniamento, quasi alienazione. Per alcuni è un vero incubo. Per altri, i sostenitori, una bellissima opera. Di sicuro però non è un’opera immediatamente leggibile “da tutti”.
Si spera che quanti raggiungano il senso di quest’opera ne traggano sentimenti positivi di dolcezza, carità, speranza. Di certi, si è ben lontani da quell’idea di bello assoluto e oggettivo che è propria dell’arte cristiana e cattolica, nonché ciò a cui dovrebbe tendere la predicazione della Chiesa. Ma di cui purtroppo, da diversi decenni, non sembra essere sempre scontato.
I canali social dei media vaticani sono stati subissati di critiche dai fedeli. Il quotidiano Libero ne riporta alcuni: “Questa bruttezza incarna perfettamente la decadenza di una certa cattolicità in parole ed opere”. Oppure: “Fa piangere… Però è in linea col ridicolo che sta serpeggiando un po’ ovunque… Tristezza infinita”.
“Orribile.. Perché produci ceramica, non significa creare bruttezza moderna… Il senso del bello, del gusto, l’armonia delle forme?!?! Un presepe deve far sognare, ti deve immergere nella contemplazione del Mistero! Qua vien voglia di volgere altrove lo sguardo”. In questo caso la critica è rivolta ai realizzatori, alunni e docenti dell’Istituto d’arte “F. A. Grue”, attuale liceo artistico statale per il design di Castelli.
Il presepe, nella sua interezza, è composto da 54 grandi statue. Tra cui figurano anche un islamico, un rabbino ebreo, un astronauta e persino un boia, per fare riferimento alla pena di morte. Ma solo alcune sono state trasferite in piazza San Pietro. Si parla poi di un riferimento al territorio abruzzese, ma sono in molti a notare che di legame con la terra, la bontà, la tradizione, il candore della cultura abruzzese c’è ben poco. Come non ci sono riferimenti culturali all’Italia, forse nemmeno alla tradizione occidentale.
Al contrario, fa pensare ad antichi mascheroni, a feroci culture pagane, panteiste, animiste, persino magiche. Proiettate in un futuro fantascientifiche ma ben più sul versante distopico, dell’incubo. Dalle critiche dell’anno precedente, rivolte alla zattera di migranti inserita nel presepe di Piazza San Pietro, quest’anno pare insomma che si passi a qualcosa di molto più simile a uno sconcerto da parte dei fedeli.
Secondo il giornalista Alfredo De Matteo, l’opera raffigurerebbe “situazioni e personaggi ambigui” tanto da poter essere definiti “spettrali“. Dando vita a un complesso artistico che arriverebbe a contraddire “la lieta novella dell’annuncio cristiano”. Qualcosa di simile a un “antipresepe”.
Ma non tutto è perduto. Basta infatti recarsi all’interno della Basilica di San Pietro per vedere un Presepe di tutt’altra fattura, proprio come la Tradizione cattolica comanda. Semplice, classico, di stile umile, che entra in punta di piedi nella Cattedrale centro della cristianità. E soprattutto, bello.
Nessuna elucubrazione metafisica, speculativa, modernistica, futurista, immanentista. Ma soltanto il calore della rappresentazione di un Bambino che nasce, con al seguito il popolo che, invitato dalla Cometa, lo accoglie per ciò che è: il Salvatore del mondo, Colui che è venuto in terra a portare la Redenzione eterna a un’umanità smarrita. Rivelando la strada del bello, del buono e del giusto. E invitando ad allontanarsi da ogni oscurità.
Come ha scritto Papa Francesco nella sua Lettera Apostolica “Admirabile signum”, dedicata proprio al Presepe, Ogni anno il presepe e l’albero di Natale ci parlano col loro linguaggio simbolico”, come “segni della compassione del Padre celeste, della sua partecipazione e vicinanza all’umanità.
Il Presepe, spiega il Papa, è “il luogo suggestivo dove contempliamo Gesù che, assumendo su di sé le miserie dell’uomo, ci invita a fare altrettanto, attraverso azioni di misericordia”
Giovanni Bernardi
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