Storico inviato di Striscia la Notizia racconta come ha scoperto la fede e la sua conversione, avvenuta grazie a un incontro particolare.
Ecco come quello che era un ateo a prova di bomba si è trovato a un certo punto ad adorare il Santissimo Sacramento durante una veglia notturna. E a trovare il vero segreto della felicità.
I più lo conoscono per essere diventato uno degli inviati storici del tg satirico Striscia la Notizia, dopo gli esordi con le Iene. Ma Max Laudadio, oggi 51enne, ha anche altro da raccontare, oltre al curriculum televisivo.
Non è la prima volta l’inviato di Striscia racconta la sua fede cattolica, di come un incontro abbia cambiato in profondità il suo modo di vedere la vita. È tornato a parlarne proprio in questi giorni, intervistato da Giulia Cazzaninga per “La Verità”.
Al giornale diretto da Maurizio Belpietro Laudadio racconta di essersi trovato a un bivio durante la sua carriera professionale: il momento in cui si capisce che l’alternativa è quella tra una crescita interiore e la caduta nell’«oblio del niente, del successo e della ricchezza».
Un rischio che dice aver corso personalmente quando, a un certo punto, poteva dire di avere tutto quello che aveva desiderato: il lavoro dei suoi sogni, un matrimonio felice, tre figli (una figlia biologica e due adottivi). «E però non ero felice», spiega alla giornalista.
Un ateo di ferro sorpreso dalla gioia
Al tempo parlare di fede non era un’opzione per lui, che si definiva un «ateo di ferro». Ma le cose sarebbero cambiate in fretta. «È successo – racconta Max Laudadio – che mia figlia frequentava l’oratorio e il prete – don Silvano Lucioni – si era messo in testa che io dovevo entrare in Chiesa, ma non mi passava neanche dall’anticamera del cervello. Non ero semplicemente ateo, ero proprio in rivolta, a tratti persino violenta».
Ma don Silvano non si è perso d’animo e gli ha regalato Per una Chiesa scalza, un libro di Ernesto Olivero, fondatore del Sermig di Torino, grande opera missionaria. Un libro che una sera Max inizia a leggere soltanto «per rispetto per il prete». Ma che finirà per divorare, letteralmente rapito dalla lettura.
Così il mattino seguente, dopo aver chiamato la sua assistente per avvisare che non sarebbe andato al lavoro, «son partito per Torino da solo – ricorda – e arrivato all’Arsenale della pace ho bussato e mi sono messo a piangere. Ho chiesto di vedere Olivero, mi han detto che era appena atterrato dalla Terra Santa e poco dopo mi ha accolto. La prima cosa che mi ha detto è “ti voglio bene”».
La levataccia notturna, poi in ginocchio davanti al Santissimo
Non è ancora la conversione, che arriva la notte in cui don Silvano lo convince – in maniera molto decisa, diciamo – a «fare l’adorazione eucaristica». L’inviato di Striscia racconta di essere disceso in valle, dopo la sveglia alle 3 del mattino, nel pieno di una bufera di neve, anche piuttosto nero per essere stato praticamente buttato giù dal letto. «Ma poi entrato in Chiesa l’illuminazione. Mi sono messo in ginocchio e non mi sono alzato fino al mattino. Da lì, giuro, è iniziata una serie impressionante di quelle che io chiamo “dioincidenze”».
È la svolta che cambia tutto nel suo modo di vedere la vita. Da «megalomane, egocentrico ed esibizionista» arriva a chiedere il «dono dell’umiltà». Poi c’è la missione di tre mesi. Prima in un orfanotrofio ad Haiti, poi in Giordania in un centro disabili mussulmani gestito da tre suore, infine in Benin in un piccolissimo ospedale (che serve però quattro Stati).
La strada verso la felicità
È in missione che Max Laudadio scopre la vera strada della felicità: il servizio al prossimo, specialmente ai più poveri. «Ho scoperto lì che la felicità esiste solo nel dono agli altri, se una cosa la fai per gli altri». Così inizia un cammino di fede fatto, come accade per tutti, di alti e bassi, di difficoltà e scogli da superare. Una lotta della vita che Max affronta ricordandosi le tre parole da rispettare per diventare santi, seguendo un consiglio di San Giovanni Bosco («decisivo» lo definisce): «responsabilità, misericordia e allegria».
Quanto al lavoro, nell’ambiente della televisione, «non è cambiato molto rispetto a prima, a esser diversa è stata la mia disponibilità verso gli altri, e questo ha regalato parecchi frutti».