L’annuncio cristiano è ancora attrattivo nell’attuale contesto mondiale? La risposta arriva da due preziose esperienze di evangelizzazione.
La fede cattolica non è più un patrimonio universalmente accettato ma ormai solo una “proposta tra le altre”. Come possiamo ragione di quello che crediamo oggi dove la fede è per così dire “protetta”? Al Meeting di Rimini un gesuita africano e un domenicano francese raccontano la loro esperienza di evangelizzazione.
La risposta di Ratzinger sull’inattualità del cristianesimo
Sulla grande sfida di questo inizio secolo, al Meeting di Rimini, inaugurato oggi, si sono confrontati due presbiteri provenienti da retroterra culturali diversissimi ma proiettati verso un destino comune: quello della convivenza religiosa nel tumultuoso scenario del continente africano.
In un mondo che rimane indifferente all’annuncio di Cristo, la fede cristiana può ancora essere una chiave di lettura per la nostra quotidianità? Può essere “attrattiva”? Può ancora avere delle chance? Nel presentare i due ospiti, il moderatore dell’incontro L’io, la fede e la sfida delle culture, Alberto Savorana, portavoce di Comunione e Liberazione, ha dato una risposta positiva a tali dilemmi.
Come affermava nel 1996 il cardinale Joseph Ratzinger, l’annuncio cristiano è sempre attuale e “attrattivo”, perché “trova corrispondenza con la natura dell’uomo”. Se da un lato, l’uomo è “fatto per l’infinito”, il cristianesimo ha una via da percorrere obbligata: “dialogare con il cuore dell’uomo che cerca la felicità”.
Dall’animismo al cattolicesimo, senza rinnegare il passato
Prendendo la parola per primo, padre Agbonkhianmeghe E. Orobator SJ ha raccontato la sua esperienza di giovane cresciuto in una famiglia animista nigeriana, convertitosi poi al cattolicesimo, fino a diventare sacerdote e presidente della Conferenza dei Gesuiti dell’Africa e del Madagascar.
Quando si fece battezzare, Orobator spiazzò tutti: i cristiani locali che precedentemente gli avevano dato dell’“idolatra”, del “feticista” e del “pagano”, da un lato; gli animisti che, con loro grande sorpresa, avevano notato come lui non avesse in realtà rinnegato molti dei principi dell’“identità religiosa africana”.
La sua originaria identità animista aveva aiutato Agbonkhianmeghe E. Orobator a comprendere la realtà; tuttavia, il cristianesimo aveva notevolmente “ampliato” questo sguardo sul mondo.
“La mia fede cristiana mi ha permesso di approfondire la sensibilità religiosa dei miei antenati”, ha ribadito il gesuita, facendo sue le parole di San Paolo VI: “l’africano, quando diviene cristiano, non rinnega se stesso, ma riprende gli antichi valori della tradizione in spirito e verità” (Lettera apostolica Africae Terrarum, 1967).
Nel cristianesimo, Orobator ha trovato – approfonditi e rafforzati – alcuni tratti distintivi della sua tradizione religiosa originaria: la “solidarietà”, la “fraternità”, l’“ospitalità”. Il gesuita nigeriano ha incontrato un legame con la cultura africana anche nell’enciclica Laudato sì di papa Francesco, in quanto “la religione africana riconosce nel creato uno splendido dono di Dio”.
Il dilemma delle relazioni islamo-cristiane
Molto diverso è il percorso di vita di Adrien Candiard OP, membro dell’Institut dominicain d’études orientales (IDEO), con sede al Cairo. A padre Candriard questa destinazione non era assolutamente nei suoi piani. Il suo sogno era quello di approfondire la teologia cristiana ma i superiori gli indicarono una strada diversa, da lui mai considerata: lo studio dell’Islam.
Questo ‘imprevisto’ lo ha aiutato a comprendere a fondo la vera dimensione dell’annuncio: “la missione della Chiesa è mettersi a disposizione dello Spirito Santo”.
Dialogare, per i cristiani non significa, cioè, parlare di se stessi ma farsi portavoce del “dialogo eterno tra Dio e il mondo”. Quello stesso dialogo che “Dio ha iniziato con il primo uomo e che prosegue oggi con tutti cli uomini”.
La missione della Chiesa non è quella di mostrarsi “esperta di umanità”, ha proseguito il domenicano francese, né tantomeno di celebrare se stessa ma quella di porre in evidenza “il servizio di Cristo che ci procede sempre”.
Fare evangelizzazione implica innanzitutto ascoltare il non cristiano e individuare dove Dio può “rivelarsi” in lui. Indubbiamente, ha ammesso padre Candridard, con i musulmani questo dialogo è più difficile perché, per ragioni storiche, entrambe le religioni percepiscono l’altra come una “minaccia”.
In questo ‘campo minato’, allora l’unica strategia vincente è quella del “disarmo”: ciò significa fare per primi il passo di mettersi in ascolto dell’altro, “costruire una confidenza, un’amicizia”. È solo così che “possiamo dire io”, purché l’obiettivo sia quello “lasciare l’altro ricevere il Tu che sta aspettando”, ha quindi concluso padre Candriard.
Luca Marcolivio