Non tutti conoscono in che cosa si differenzia la concezione della Santa Messa nel cattolicesimo rispetto al protestantesimo.
Per quanto infatti si possa essere formati in merito al sacrificio della messa, non lo si potrà mai essere totalmente a fondo per tutto ciò che riguarda la bellezza e la profondità di tale mistero.
“Ho avuto modo di ascoltare alcuni discorsi dei protestanti i quali asserivano che nel nuovo testamento la parola “sacerdote” è utilizzata solo ed esclusivamente in relazione a Cristo e che questo (vediamo la lettera agli ebrei) ha compiuto il sacrifico una volte e per tutte”, viene scritto in un quesito indirizzato al sito amicidomenicani.it, portale curato da redattori legati in vario modo all’ordine domenicano, tra cui giovani della fraternita laica di san Domenico.
“Ora io controbatto a tutto questo asserendo che il sacrificio della messa non è altro che l’unico sacrificio di Cristo stesso, che non si rifà ma che si ripresenta, si attualizza, anzi più che attualizzarsi questo stesso siamo noi che ci facciamo presenti a quel momento che come atto umano è nel tempo”, continua la lettera in cui viene posto un quesito ben preciso. Il punto però messo in luce dalla donna è proprio nella centrale e nell’attualità dell’atto divino che vivifica una relazione presente tra l’uomo e Dio.
“Come atto divino è fuori da ogni tempo, ergo tutti gli uomini di qualsiasi tempo si rendono presenti a quell’unico sacrificio, una sorta di flashback ma sostanziale, reale e concreto a cui attingiamo. Chiamo il presbitero sacerdote poiché partecipa all’unico sacerdozio di Cristo e lo rende presente mediante lo Spirito Santo che lo ha consacrato“, spiega ancora la lettera. Ricordando che fu “Ignazio di Antiochia, che sostituì Pietro nella direzione di Antiochia”, a parlare “dell’eucaristia, nella lettera agli Smirnesi, come la Carne stessa di Cristo crocifisso”.
Una lettura subito condivisa dal sacerdote domenicano, Padre Angelo, che dà ragione alla parte della lettera in cui si afferma “che la Messa non rifà o non rinnova il sacrificio di Gesù Cristo sulla croce”. “Il sacrifico di Gesù ha un valore infinito perché Gesù è Dio”, specifica, aggiungendo che “sono numerosi i passi della Sacra Scrittura in cui si ribadisce il valore unico ed eterno del sacrificio del Signore”.
Tra questi, padre Angelo ne indica i principali. Come per esempio Eb 9,12: “Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna” Eb 9,12. Oppure Eb 9,26-27: “Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza”.
O ancora Eb 10,10: “Così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza”. Oppure Eb 10,12: “Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio”. E anche Eb 10,14: “Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati”.
Infatti è Gesù stesso che allude all’efficacia universale ed eterna del suo unico sacrificio, spiega ancora padre Angelo, riportando le parole di Gv 12,32: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. “Si tratta allora di vedere in quale maniera la redenzione di Cristo venga applicata ai singoli uomini fino alla fine del mondo”, chiosa il sacerdote. “I protestanti dicono che è sufficiente la fede, che è sufficiente sapere che Cristo ha già redento i nostri peccati. Di qui il pecca fortiter sed crede fortius (pecca fortemente, ma credi ancor fortemente) di Lutero“.
Diversa però è la lettura che ne dà San Paolo, quando parla di una applicazione della redenzione del Signore per via sacramentale. “Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1 Cor 11,26). Parole che attestano una verità molto semplice, che cioè “non c’è bisogno di una nuova oblazione o di una ripetizione del sacrificio di Cristo”.
Al contrario, “si tratta solo di renderlo presente perché la sua efficacia salvifica venga applicata a tutti“. In tutto ciò, “il sacerdote sull’altare, per il potere conferitogli da Cristo quando ha detto ‘fate questo in memoria di me’, lo rende presente e visibile sotto le apparenze del pane e del vino”.
A cristallizzare questa visione è il concilio di Trento, che dice: “Egli dunque, proclamandosi sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech, offrì a Dio Padre il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane del vino e sotto gli stessi simboli lo diede, perché lo prendessero, agli apostoli che in quel momento costituiva sacerdoti della nuova alleanza, e comandò ad essi e ai loro successori nel sacerdozio che l’offrissero con queste parole: ‘Fate questo in memoria di me’ (Lc 22,19; 1 Cor 11,24) come la Chiesa cattolica ha sempre creduto e insegnato” (DS 1740)”.
In sostanza, la spiegazione di padre Angelo riporta al fatto che la Messa “è dunque lo stesso sacrificio che Cristo ha compiuto sul calvario che viene reso presente sull’altare”. Oltre ad essere anche “il mezzo attraverso il quale l’unico sacrificio di Cristo entra in contatto diretto con gli uomini di tutti i tempi fino alla fine del mondo”.
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Ben diverso da quanto affermava Lutero dicendo che “la Messa non è che è una promessa, come le promesse fatte ad Adamo, a Noè nell’arcobaleno, ad Abramo, Mosé, ma più perfetta di queste ultime perché essa promette non i beni temporali, ma la remissione dei peccati”. “Essa non è un sacrificio”, diceva Lutero. “Nulla vi viene offerto a Dio. Se non si concede questo, tutto il Vangelo è perduto”.
In sostanza, per Lutero “la Messa altro non sarebbe che la memoria di un evento passato e la promessa di ciò che si sarebbe compiuto in seguito sulla croce”. Ma Cristo, ricorda padre Angelo, ha detto: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue” (Lc 22,20). Per questo “il calice è l’alleanza è il testamento perché contiene il sangue di Cristo, il prezzo della redenzione del mondo”. Quando ha istituito l’eucaristia, Gesù non ha fatto solo una promessa che sarebbe stata confermata dal sacrificio della croce, ma ha anticipato il sacrificio della croce”.
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A questa richiamano le parole: “Questo è il mio corpo che viene offerto per voi” (Lc 22,19), “Questo è il mio sangue che viene sparso per molti” (Mc 14,24; Mt 26,28). In sostanza, la replica da fare a Lutero, quando dice che “se non si concede questo tutto il Vangelo è perduto”, è semplice, spiega padre Angelo: “Se non si concede che la Messa è il sacrificio di Cristo che applica la sua forza redentrice agli uomini di tutti tempi, le parole di Cristo nell’istituzione dell’eucaristia perdono tutto il loro significato”.
Se infatti “è vero che Cristo è l’unico ed eterno sacerdote, il solo mediatore tra Dio e gli uomini”, “è pur vero che la Sacra Scrittura dice che tutti i fedeli sono sacerdozio santo in virtù del battesimo. E i presbiteri vengono chiamati sacerdoti perché partecipano in maniera unica alla gratia capitis, alla grazia del capo, e cioè di Cristo”.
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Conclude infatti il domenicano: “Oltre ad essere partecipi del sacerdozio santo di Cristo perché possono offrire se stessi come tutti i battezzati, i presbiteri hanno ricevuto una partecipazione della grazia propria di Cristo che è la grazia del capo e del buon pastore in virtù della quale hanno il potere divino di rendere presente il sacrificio Cristo sull’altare e di rimettere i peccati”.
Giovanni Bernardi
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