Vittorio Messori, il grande giornalista e apologeta, affronta a cuore aperto il tema tabù del nostro tempo: la morte. E mentre si avvia verso la fase finale della sua esistenza confessa di chiedere preghiere non per guarire dalla malattia, ma per poter morire cristianamente.
“Sono vecchio. Io non uso questa parola: anziano. Io sono vecchio”. A pronunciare parole così franche è Vittorio Messori durante una conversazione avuta con Riccardo Caniato a Maguzzano, sulla sponda bresciana del Lago di Garda, presso l’abbazia fondata nel IX secolo dai monaci benedettini dove l’autore di Ipotesi su Gesù ha uno studio.
Parole controcorrente, com’è abitudine di questo grande apologeta della fede cattolica, da sempre allergico agli eufemismi del politicamente corretto. È un Messori che mette a nudo tutta la fragilità di un uomo di ottant’anni, malato, al quale i medici non hanno dato molto tempo da vivere.
Il grande apologeta e intervistatore di due papi
Messori è lo scrittore cattolico più tradotto al mondo. È stato anche il primo laico a scrivere un saggio con un papa: il libro-intervista Varcare le soglie della speranza, scritto a quattro mani con Giovanni Paolo II nel 1994. Dieci anni prima aveva intervistato il futuro Benedetto XVI (allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede) nel celebre Rapporto sulla fede.
Due titoli che da soli farebbero la gloria di uno scrittore cattolico. Tuttavia, il più grande servizio reso alla Chiesa da Messori è quello delle sue opere apologetiche, a cominciare dalla trilogia su Gesù: Ipotesi su Gesù (1976); Patì sotto Ponzio Pilato (1992); Dicono che è risorto (2000).
Proprio intorno alla trilogia su Cristo – recentemente ristampata dalle Edizioni Ares di Milano – si è articolata questa ultima intervista dove Messori ha dato uno splendido saggio del suo modo diretto e coraggioso di affrontare la realtà.
Il mistero insondabile della sofferenza
Dopo aver ribadito l’attendibilità storica dei vangeli Messori si è a lungo soffermato sul mistero della sofferenza e della morte.
Perché Gesù ha dovuto patire sotto Ponzio Pilato? E perché morire in quella maniera così orribile? Abbiamo dimenticato come la crocifissione fosse davvero il peggiore degli antichi supplizi. Per i romani era la punizione più estrema: un’agonia estenuante, sotto l’occhio vigile e crudele di un pubblico che strillava, insultava e derideva, oppure semplicemente assisteva allo spettacolo macabro dei rapaci impegnati a straziare il condannato cavandogli gli occhi o i testicoli. Il corpo del crocifisso, esposto a ogni genere di vilipendio, fungeva da “manifesto pubblicitario” che doveva servire a testimoniare il potere della grande e potente Roma.
La Croce di Cristo, risposta divina al mistero del dolore umano
Solo nell’aldilà riusciremo a sapere qualcosa del grande mistero del dolore, dice Messori. Ma già in questa vita la sofferenza scelta e accolta da Cristo “in qualche modo ci spiega, ci fa accettare il male che c’è nel mondo”. È un fatto: gli uomini soffrono, piagati dalle malattie, dalla fame, dalla guerra, dai disastri naturali. Però, in una prospettiva di fede, anche Gesù ha sofferto terribilmente. Questo significa, osserva Messori, che “il nostro non è un Dio il quale fa soffrire i suoi creati; lui stesso ha voluto assumere sul suo corpo il male”. La crocifissione e morte di Gesù è così la risposta alla rivolta contro un Dio accusato di far soffrire l’uomo. Cristo non spiega la sofferenza, la prende su di sé.
Gesù ha patito per primo la sofferenza e questo, in qualche misura, ce la rende più accettabile. Resta il fatto che questa vita è un tempo di passaggio e di prova per il paradiso. La Chiesa stessa, prosegue Messori, è destinata a seguire il suo Signore lungo questo cammino: “La Chiesa non è in marcia verso il trionfo, la Chiesa è in marcia verso la sofferenza”.
“Pregate perché io muoia da cristiano”
Nella parte finale della conversazione Messori tocca il tema della morte – al quale del resto ha dedicato il suo secondo libro: Scommessa sulla morte (1982). Qui Messori, con la schiettezza che gli è propria, rivela di essere, prima ancora che un grande giornalista e un grande studioso, un grande cristiano. Confessa infatti di chiedere, ai tanti che pregano per lui, di non pregare per la sua guarigione, ma perché possa avere una morte cristiana: “Non pregate perché io guarisca; pregate per favore, se volete, perché la mia sia una buona morte, perché io muoia bene”.
Molti oggi vorrebbero morire senza neanche accorgersene: nel sonno, comunque all’improvviso. Come se ad attenderci non ci fosse un giudizio particolare. Che però è una verità insegnata dal Catechismo della Chiesa Cattolica: “Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre”.
Altro che morire di colpo… “Al contrario”, afferma Messori, “io prego di morire consapevole, del tutto consapevole, perché la morte consapevole ti permette di affrontare questo tribunale che deve attirarci ma anche un po’ spaventarci”.
Questo intervistatore di due papi non crede al “Gesù buonista che sempre e comunque perdona e fa entrare tutti al massimo con uno scapaccione”. Lo trova un tradimento del cristianesimo. Il Vangelo infatti è chiaro: ci sarà spazio per i salvati ma anche per i dannati. I cattolici di oggi sembrano invece più preoccupati della qualità della vita terrena che non della salvezza e della vita eterna, quando un tempo esistevano addirittura le “società per la buona morte” che aiutavano la gente a morire cristianamente.
Ragione in più per non sottovalutare il giudizio finale – che certo è da temere più della morte fisica – e prepararsi alla morte avendo cura di poter accedere ai sacramenti (confessione, unzione degli infermi, eucarestia). Per quel che possiamo, ci uniamo allora alle intenzioni di Vittorio Messori e chiediamo ai lettori, se lo desiderano, di fare altrettanto.