Da molto, troppo tempo è calato il silenzio sui casi di Bibbiano e dei minori sottratti alle loro famiglie. La fine del clamore mediatico non è però affatto corrisposta alla fine di queste tragedie.
La manifestazione “Liberiamo i nostri figli” del 26 gennaio a Roma, davanti a Montecitorio, ha riportato prepotentemente alla ribalta le vicende drammatiche è a dir poco, di ragazzi sottratti ai loro genitori e finiti nelle maglie della giustizia minorile o dei servizi sociali.
Come il 14enne Jacopo, che da un anno e mezzo non vede sua mamma Giada.
Il dramma di Jacopo
Tutto è iniziato nel 2016, quando, alcuni anni dopo la separazione dei genitori, Jacopo è stato affidato prima a una casa-famiglia, poi al padre. Con metodi assolutamente illegali e fraudolenti. “Mio figlio in questo momento si trova affidato a un uomo che è stato diagnosticato come violento e pericoloso”, ha dichiarato Giada Giunti in un video girato durante la manifestazione. Pur essendo celiaco, Jacopo è stato costretto a cibarsi quotidianamente di cibi con glutine, che gli hanno procurato anche “danni biologici”, accertati con perizia medico-legale (i medici del pronto soccorso chiesero addirittura il ricovero). Dalle ultime notizie che la madre ha ricavato, il ragazzo è molto dimagrito, è in pessime condizioni di salute, “non cresce” e “ha bisogno di essere protetto tra le mie braccia”.
Ostaggio di un padre violento
Sin dal momento della loro separazione, Giada fu picchiata dal marito, che la minacciò: “Non vedrai più tuo figlio!”. La situazione è precipitata il giorno in cui Giada è stata ingiustamente accusata di aver abbandonato Jacopo presso il circolo sportivo romano che il bambino frequentava. Portato via dalla madre, dopo essere stato prelevato con la forza da scuola, Jacopo è vissuto per sette mesi in una casa-famiglia. In seguito, è stato trasferito dalla nonna materna in Toscana: in quel periodo la madre ha potuto vedere una volta ogni quindici giorni, per un’ora, prima presso i servizi sociali, poi a casa di sua madre.
Nel frattempo, nonostante le perizie psichiatriche del tribunale qualificassero il padre come “violento”, “narcisista”, “pericoloso” e “paranoico”, Jacopo era costretto a rimanere con lui. Sono decine le lettere e i messaggi in cui il bambino implora di essere liberato e riportato dalla mamma. “La volontà di mio figlio di tornare a vivere con me, è stata completamente trascurata – dice Giada Giunti –. Mio figlio piange, si dispera chiede aiuto, scrive lettere e messaggi e nessuno lo ascolta la sua volontà”.
Il non rispetto della volontà di Jacopo, aggiunge la madre, va a violare non solo la normativa e la giurisprudenza italiana ma anche “le convenzioni di Istanbul, New York e Strasburgo”. In dodici mesi, per nove volte, la richiesta della signora Giunti di riportare a casa il figlio è stata rigettata in Corte d’Appello dagli stessi magistrati che erano stati ricusati. Giada ha formulato 36 richieste conciliative in due anni, l’ultima delle quali presentata lo scorso mese. Tutte respinte. Al danno, si è aggiunta la beffa: 117mila euro di spese processuali a suo carico.
Volontà del minore inascoltata
Al momento il bambino è praticamente “sequestrato” in casa del padre, complice la sentenza del Tribunale di Roma e una serie di relazioni false, che ne ha decretato l’affido in via esclusiva il 31 luglio 2019. Alla madre viene concesso soltanto di parlarci una volta a settimana, per soli venti minuti. Due anni fa, tra l’altro, la signora Giunti ha chiesto un’indagine amministrativa nei confronti dei servizi sociali e di due educatrici del Comune di Massarosa. Ha quindi sollecitato il sindaco, l’assessore ai Servizi Sociali e il Garante per l’Infanzia della Regione Toscana. Tale indagine, però, non è mai partita. “Il Garante dell’Infanzia non può rispondermi, dicendo che non è più competenza sua perché Jacopo adesso è tornato a Roma. Due anni fa era in Toscana”, sottolinea la madre.
La vicenda è finita in Parlamento, diventando oggetto di un’interrogazione rivolta dall’onorevole Veronica Giannone al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Il Guardasigilli si è schierato in difesa della signora Giunti, affermando il “pieno diritto di ascolto del minore, la cui volontà è stata completamente ignorata“. Tutte le relazioni sul minore, curate da psichiatri del calibro di Alessandro Meluzzi e Paola Notargiovanni hanno confermato il desiderio del minore di tornare dalla madre. Ciononostante, il Tribunale continua a perpetuarne la “prigionia” presso il padre violento, aggravando il malessere del bambino.
L’appello della madre
“Si parla tanto di riforma della giustizia: noi donne che abbiamo avuto il coraggio di denunciare non solo non veniamo protette ma ci allontanano dai nostri figli, ci sospendono dalla responsabilità genitoriale e ce la revocano”, dichiara Giada Giunti.
“Dal 2013 sto subendo una persecuzione giudiziaria civile e penale perché, ogni volta che io denuncio, anche un codice rosso, le denunce vengono archiviate. Diversamente, quando le denunce le fa il mio ex marito e sono anche false (lo dico perché posso provarlo), finisco sotto processo anche dopo aver subito un’aggressione, con tanto di certificato del pronto soccorso e le testimonianze. Chiediamo aiuto – conclude – perché sia fatto qualcosa per tutte le mamme, per tutte le violenze che subiamo”.
Luca Marcolivio