L’Onu si è espressa sulle azioni militari ai danni dei Rohingya da parte dei militari birmani, definendo l’epurazione etnica operata nella regione di Rakhine come un atto di genocidio.
La sfortunata storia del popolo Rahingya (vittima di persecuzioni sin dal 1700) comincia da lontano ma, sebbene le radici dell’odio nei propri confronti affondino in un passato remoto, negli ultimi decenni la situazione è degenerata al punto da costringere tutta la popolazione residente in Birmania ad immigrare nel vicino Bangladesh. L’inizio delle persecuzioni si è avuto con l’arrivo al potere della giunta militare del Myanmar/Birmania rappresentante della maggioranza buddista della popolazione birmana.
Con la scusa della religione sono cominciati gli atti di limitazione e di repressione della popolazione Rohingya, residente nella regione di Rakhine, al confine con il Bangladesh. Gli atti di violenza dei militari hanno portato ai primi esodi, migrazioni continuative negli anni che hanno raggiunto il culmine nel 2016 quando, dopo una prima ondata di repressione e violenza, circa 80 mila Rohingya hanno abbandonato le proprie case per migrare. Il punto di non ritorno si è raggiunto poco più in là quando i restati 700 mila abitanti sono stati costretti dall’esercito birmano ad emigrare in Bangladesh.
Prima del declino rapido della situazione, l’Onu aveva tentato invano di permettere agli emigrati Rohingya di fare ritorno nelle loro terre d’origine. La nuova ondata di repressione che, oltre all’esodo forzato, ha portato ad assassini, stupri e creazione di campi di concentramento (10 mila le vittime accertate) ha costretto la Commissione dei diritti umani dell’Onu ad aprire un’inchiesta sui fatti di Rakhine dalla quale è stato redatto un rapporto che definisce l’azione militare dell’esercito birmano, un vero e proprio genocidio. Per tale motivo, si ritiene che i comandanti militari debbano essere destituiti e processati per questo grave crimine.
Dal rapporto risulta colpevole anche la leader birmana Aung San Suu Kyi, poiché: “Non ha usato la sua posizione di capo del governo de facto, né la sua autorità morale, per arginare o impedire gli eventi in corso nello stato di Rakhine”. Così anche le autorità civili che “Attraverso le loro azioni e omissioni, hanno contribuito alla commissione dei crimini atroci”.
Luca Scapatello
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