La Madonna ci dice che con la preghiera e il digiuno si possono fermare le guerre. Anche abbattere un muro che sembrava imbattibile, e il fatto accaduto lo dimostra.
Spesso ci sono eventi – come le guerre, sempre attuali ahinoi! – che ci vengono presentati come fatti inevitabili: è l’insormontabile «forza dei fatti», ci viene detto. Nulla è più usuale di un uomo di potere che tenta di giustificare le proprie azioni presentandole come scelte ineluttabili imposte dalle circostanze o dalla necessità.
In realtà questo appello alla «realtà delle cose» è solo un ottimo alibi per chi intende agire in condizioni di assoluta impunità, senza dover rendere conto a nessuno, sfuggendo la responsabilità che ricade sulle proprie scelte. Un cristiano sa bene che c’è una «realtà delle cose», ma sa anche che esiste una «verità delle cose». E davanti all’ineluttabile (che letteralmente indica qualcosa contro cui non si può lottare) il cristiano sa che strumenti di lotta ce ne sono sempre, eccome.
Ma non sono gli strumenti del «mondo»: la preghiera è una di queste armi spirituali che possono sempre essere messe in campo. Come scrive Nicolás Gómez Dávila «il vero cristiano non deve rassegnarsi all’inevitabile: deve confidare nell’impertinenza di un’orazione reiterata».
La divina impertinenza
Esiste dunque una impertinenza divina, se ci è concesso il termine, che fa svanire i disegni dei potenti. È uno degli insegnamenti della Madonna a Medjugorje: dicendoci che col rosario e il digiuno si possono fermare anche le guerre – cioè quegli eventi che si presentano come inevitabili necessità, come quelle delle forze naturali – Maria ricorda che i destini del mondo si giocano in una dimensione «altra», dove non è la forza a prevalere: la dimensione dello spirito.
Che l’arma della preghiera possa – in maniera misteriosa e imprevedibile – scompigliare disegni politici oppressivi, capaci anche di calibrare con chirurgica precisione formidabili meccanismi di controllo sociale, lo mostra una storia anche abbastanza recente.
Stasilandia, la macchina perfetta per il controllo sociale
Nulla ad esempio faceva pensare che nel 1989 sarebbe potuta collassare di schianto la DDR, lo stato socialcomunista della Germania Est (e tanto meno l’impero sovietico). La DDR – costituita nel 1949 dopo la separazione della Germania – era nota anche come Stasiland, Stasilandia: un nomignolo che stava ad indicare l’asfissiante presenza della Stasi, l’onnipresente ministero della Sicurezza di stato della Germania orientale. Simbolo per eccellenza di Stasilandia e della cortina di ferro tra Est e Ovest era il famigerato Muro di Berlino, quell’insieme di fortificazioni presidiate dai ferocissimi vopos che dal 1961 divideva in due la città di Berlino
Il compito della Stasi – che qualcuno ha battezzato il «ministero della paranoia» – era semplice: sapere tutto di tutti, con ogni mezzo possibile. Per rendere l’idea, quello che dopo la caduta del Muro venne definito come «il più perfezionato stato di sorveglianza di tutti i tempi» poteva contare su un informatore ogni 6,5 cittadini. Per fare un paragone, il Terzo Reich hitleriano aveva un agente della Gestapo ogni 2 mila cittadini, nell’Urss staliniana c’era un agente del Kgb circa ogni 6 mila persone.
Il ministero della paranoia che sapeva tutto di tutti
La Stasi sapeva tutto: chi ti aveva telefonato, chi ti era venuto a trovare, se tua moglie ti aveva tradito. Ovunque c’era qualcuno che riferiva alla Stasi su parenti, amici, in ogni fabbrica, ogni scuola, ogni casa, ogni bar.
Questa «burocrazia metastatizzata in tutta la società tedesco orientale» (Anna Funder) era arrivata a campionare gli odori dei suoi cittadini raccogliendoli in barattoli sigillati e etichettati (tipo i contenitori della marmellata) col nome della persona e il tipo di indumento. O ancora: la «Ditta» – come talvolta era chiamata la Stasi – usava anche le radiazioni (spie radioattive, magneti radioattivi, spray radioattivi) per contrassegnare persone o oggetti di cui voleva tenere traccia.
Ma qualcosa era sfuggito all’occhio vigile di Stasilandia…
Eppure, nonostante la sua maniacale ossessione per i dettagli, l’occhiutissima Stasi fallì clamorosamente nel prevedere la fine del comunismo, e con essa la fine della DDR.
Sì, perché qualcosa era sfuggito al controllo capillare della Stasi: un fatto nuovo, un piccolo seme di preghiera si era piantato nel cuore stesso della Germania dell’Est. Cominciò tutto nel 1982, quando un piccolo gruppo di persone iniziò a riunirsi ogni lunedì verso le 17 nella chiesa evangelica di San Nicola a Lipsia a pregare per la pace. Le chiese erano rimaste uno dei pochi luoghi dove era ancora possibile associarsi in libertà.
All’esterno della chiesa il pastore fece affiggere un cartello con la scritta Nikolaikirche offen für alle (Chiesa di San Nicola aperta a tutti). Per riconoscersi i giovani partecipanti alle preghiere si cucirono sulle giacche dei simboli in tessuto col versetto di Isaia 2, 4: Schwerter zu Pflugscharen (Le spade diventino aratri), aggirando così la censura del partito. Da quel minuscolo gruppo – meno di venti giovani – prese le mosse la «rivoluzione pacifica» che avrebbe portato in piazza migliaia di persone a gridare: Wir sind das Volk!, «Siamo il popolo!».
A metà del 1989, le manifestazioni del lunedì dopo gli incontri di preghiera del lunedì alla Nikolaikirche di Lipsia dilagavano ormai in tutto il paese, fino a Erfurt, Halle, Dresda, Rostock. Un popolo che appariva totalmente soggiogato e sottomesso all’autorità dello stato non vacillava più e aveva preso un incredibile coraggio. Così scese in piazza a chiedere la fine delle restrizioni.
Quella gaffe che fece crollare il Muro di Berlino
Le prime manifestazioni furono brutalmente represse, ma ormai era tardi. Le manifestazioni cominciarono a crescere di tono e di numero e presto in tutto il paese ci furono proteste davanti agli uffici della Stasi. Il 16 ottobre manifestarono in 120 mila per chiedere libere elezioni, il 23 ottobre il numero dei manifestanti raggiunse le 200 mila persone.
La situazione per il partito precipitò. Il 9 novembre, nel tentativo di risolvere la crisi, la dirigenza del partito (Politbjuro) si riunì e decise di alleggerire le restrizioni sugli spostamenti dei cittadini. Il Politbjuro decretò così che dal giorno successivo sarebbe stato possibile muoversi liberamente e il divieto di lasciare il paese avrebbe trovato applicazione solo in «particolari circostanze eccezionali». Ma la confusione ormai regnava sovrana: durante la conferenza stampa Günter Schabowski, il membro del Politbjuro incaricato di comunicare ai media la decisione presa dai dirigenti, incappò in una pesante gaffe e disse ai giornalisti che le misure di alleggerimento erano già entrate in vigore.
Questo banale errore umano inceppò definitivamente la macchina perfetta di Stasiland. I vopos, le guardie di confine che controllavano il Muro di Berlino, non erano stati informati dell’entrata in vigore della nuova misura. Ma le parole di Schabowski si erano già diffuse a macchia d’olio tra la popolazione. E così attorno al muro i vopos si trovarono davanti una folla di diecimila persone accalcate, a piedi o a bordo delle loro scassatissime Trabant, in mezzo a una sinfonia assordante di clacson. Le guardie cercarono di bloccarle, ma ormai era troppo tardi: da est e da ovest una marea umana si arrampicava, piangeva e ballava sopra quell’incubo che era stato il Muro di Berlino.
Il Politbjuro era pronto a tutto, ma non a preghiere e candele
Così, in maniera pacifica e con modalità se non grottesche certamente comiche, cadde dopo 40 anni (come gli anni in cui Israele vagò nel deserto del Sinai) il possente e terribile Muro di Berlino e con lui Stasilandia, la società che pretendeva di controllare ogni respiro dei suoi cittadini. Che nella caduta ci sia stato qualcosa di prodigioso, nel quale è difficile disconoscere la mano del cielo, lo riconobbe prima di morire anche Horst Sindermann, allora primo ministro della DDR: «Avevamo programmato tutto. Eravamo preparati a tutto, ma non alle candele e alle preghiere».
«Per la prima volta nella storia d’Europa – disse l’allora cancelliere della Germania Ovest Helmut Kohl – i confini sono cambiati senza spargimento di sangue, senza una guerra o una rivoluzione cruenta». Fu la rivincita della dimensione spirituale della storia: dalla preghiera di pochi per la pace nacque una rivoluzione pacifica.
Nel suo poderoso volume Grazie a Dio, il sociologo Giuliano Guzzo ricorda anche un’altra significativa – per chi crede provvidenziale – coincidenza: l’Urss, il regime che più di ogni altro nella storia aveva cercato di cancellare la religione dalla faccia della terra, fini l’8 dicembre 1991, festa dell’Immacolata Concezione, mentre la bandiera con falce e martello smise di sventolare sulla piazza Rossa il 25 dicembre 1991, il giorno di Natale che celebra la nascita di quel Dio cristiano così ostinatamente perseguitato dall’ateismo militante dell’impero sovietico. Una coincidenza tanto lampante da spingere qualcuno a commentare, in riferimento a uno dei patroni della Russia, che «san Vladimiro ha sconfitto Karl Marx» (*).
Ragione in più per continuare a confidare nell’impertinenza di quel Dio che, non senza un pizzico di umorismo, «annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli». (Sal 32, 10).
(*) Sulle ricadute anche molto concrete della preghiera il libro di Guzzo porta una mole impressionante di informazioni e dati, ai quali rimandiamo.