La perdita della missionaria italiana, vittima di una tragica violenza, ha segnato nel profondo i cuori di chi la conosceva.
Nadia De Munari era una vicentina di Schio di 50 anni che aiutava i bambini poveri in Perù. Aveva cioè dedicato la sua intera vita all’aiuto del prossimo e dei più poveri, scegliendo di vivere tra le alte montagne del Paese sudamericano. Mercoledì mattina è stata ritrovata agonizzante a letto, colpita alla testa e alle braccia con un martello o un’ascia. Dopo il dramma, Nadia non ce l’ha fatta e ora si dà la caccia al suo killer.
Nadia era infatti, prima di partire nel 1990 per l’Ecuador, sempre in America Latina, una maestra d’asilo. Nel 1995 c’era stata la sua grande decisione, irrevocabile: dedicare la sua vita al Signore e all’aiuto dei poveri, non però da religiosa ma da laica. È rimasta per oltre 20 anni sulla Sierra, a 3.400 metri di quota, ha raccontato ai giornali la sua amica di sempre, Rosanna Stefani.
Quando padre Ugo De Censi decise di aprire a Chimbote queste scuole per bambini molto poveri, che scendevano in massa dalle montagne, Nadia aveva sentito il richiamo della sua vocazione. Ed era partita, perché quella era la sua strada. “Nadia era speciale, aveva un’indole pacifica. Su questa terra ha fatto solo del bene”.
I bambini di cui si occupava, infatti, scendevano dalla Sierra andina alla prima città di mare, insieme alle loro famiglie che sognavano un futuro migliore. Qualcuno però ha interrotto bruscamente il sogno terreno di Nadia, con la maggiore violenza possibile. A colpi di martello o di ascia o di machete.
La missionaria è stata trovata agonizzante nella sua camera da letto, all’interno del centro Mamma Mia, una delle case famiglia volute da padre Ugo, nell’ambito dell’Operazione Mato Grosso. Era ricoperta di ferite alla testa e aveva una frattura al braccio destro. Subito è stata portata all’ospedale di Chimbote, e da lì è stata trasferita alla clinica giapponese-peruviana di Lima, 600 chilometri a Sud, dove è stata sottoposta a un intervento chirurgico estremamente delicato. Poi la morte.
Ora non resta che indagare su questo terribile delitto. La prima pista portava a un rapinatore, perché Nadia non aveva più il telefono. Però aveva con sé i soldi, per questo i conti non tornano. L’aggressore si è diretto subito in camera da letto, senza toccare nient’altro. Pare che la Scientifica della capitale peruviana, che ha fatto i rilievi sul posto, abbia trovato delle tracce di sangue su un martello.
Il medico tuttavia non ci sta, e pensa che la ferita che aveva sulla testa indichi qualcosa di più tagliente. Ma non ci sono testimoni oculari. Nadia viveva da sola al terzo piano della casa. Il delitto è stato commesso di notte, quando tutti erano a letto. Quando la mattina seguente i volontari hanno visto che Nadia non si era presentata, sono cominciati ad arrivare i dubbi, confermati una volta che sono entrati in casa.
“Per me non è stata una rapina, forse una vendetta personale, magari anche per motivi poco importanti”, è il sospetto di padre Raffaele. “Non la vedevo da tempo, però certamente la conoscevo. La ricordo come una persona molto dedicata al lavoro, ma anche di grande spiritualità, la definirei una mistica”, è quanto invece ricorda il vescovo di Chimbote, Ángel Francisco Simón Piorno.
“Non era una persona cui piaceva parlare, fare riunioni, era una che agiva. E faceva un lavoro importantissimo, di coordinamento nelle varie opere educative”, ha proseguito al Sir il monsignore, profondamente scosso per l’accaduto come tutti quanti all’interno della comunità e nei quartieri poveri di Nuevo Chimbote.
Ora il dolore, per l’allestimento della camera ardente in ricordo della missionaria, è grande. La comunità è infatti un centro fondamentale per la popolazione locale, dove la loro opera educativa è ben evidente nelle scuole e nel tessuto sociale, o nelle mense, che a differenza delle scuole in questi mesi di pandemia non si sono mai fermate ma al contrario hanno sempre continuato a stare a fianco delle persone più povere.
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Quella di Nadia è la prima perdita in missione per l’Operazione Mato Grosso, movimento missionario fondato nel 1967 dal salesiano don Ugo De Censi, scomparso nel 2018. Il vescovo ha espresso quindi tutta la sua solidarietà alla famiglia di Nadia, che in Italia, a Giavenale, insieme agli amici della canonica di Monte di Malo, alla periferia di Schio, vive il dolore della sua scomparsa.
“Nadia era innamorata del suo servizio ai bambini, e del suo sogno di regalare a loro amore, affetti e punti di riferimento, per curare una società che è malata nel profondo”, ha ricordato ai media vaticani Massimo Casa, della Operazione Mato Grosso.
“La verità è una prerogativa di Nadia, che ha sempre voluto conoscere: una ragazza molto sensibile e anche molto attenta. Non voleva che le si raccontassero bugie, anche nelle nostre amicizie era proprio così, con carattere”. Ed è proprio così che l’ha voluta ricordare.
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“Prima di tutto la sua sensibilità verso chi soffre, il fatto di non farlo da sola, ma farlo con gli amici, con le persone care, e la scelta degli ultimi. Guardare a chi sta peggio e soprattutto anche la voglia di verità. Da qui andiamo anche alla sua voglia di verità nella fede, nella spiritualità. La sua determinazione anche di ricercare un senso della vita che potesse essere ben più al di là della nostra materialità. Non spetta a me dirlo, ma come cristiano, come padre di famiglia, la considero una martire: ha regalato tutta la vita”.
Giovanni Bernardi
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