Quella di Ilaria è la bellissima storia di una giovane di 35 anni che ha deciso di lasciare tutto e seguire la chiamata di quel Dio che poco conosceva, in Uganda.
Ilaria ha deciso di vivere la fede nel quotidiano rendendola un progetto di vita. A lei abbiamo chiesto come è avvenuta la trasformazione del suo cuore.
“Tutto ebbe inizio dopo una profonda crisi esistenziale: nulla aveva più senso per me, la vita e il tempo scorrevano via, in questa società di consumismo.
Così, ho cominciato la mia ricerca di Dio. Fino a quel momento, per me era uno sconosciuto, di cui avevo una visione distorta. Lui, però, si prese cura del mio dolore e delle mie ferite, mentre cercavo una guida spirituale e un modo per trovare pace”.
Ilaria proviene da una cittadina in provincia di Verona, Sandrà, e, nel momento in cui sentì il richiamo della fede, aveva già una carriera avviata.
Disegnavi progetti in uno studio di architetti, dopo la Maturità d’Arte applicata, dunque sembrava che il tuo lavoro ti volesse portare da tutt’altra parte. Cosa è accaduto invece?
“Cercavo di capire la mia vocazione, il motivo per cui Dio mi aveva messo su questa terra. Poco a poco, la mia vita cambiava, ma non perché non avessi più problemi -quelli anzi aumentavano- ma perché cominciavo a sentirmi davvero amata da Gesù.
Dopo un periodo intenso di discernimento, arrivai a concepire ciò che non avrei mai pensato: partire per una missione, in Africa!”.
Ci racconti che eri sempre stata affascinata da quella terra e che la tua propensione era quella di aiutare le persone più bisognose, ma decidere addirittura di lasciare una vita “comoda” e i tuoi affetti più cari, per un Paese così povero, deve essere stato davvero difficile. Come sei arrivata a prendere quella decisione?
“Conobbi Giorgio Scarpioni e Marta Novati, due missioniari laici della Diocesi di Milano, inviati dai Frati Minori Francescani in Uganda, precisamente a Rwentobo. Loro operavano li già dal 2012 e sono artefici della “Ewe Mama Onlus”.
Più conoscevo loro, più sentivo parlare di ciò realizzavano per i poveri fratelli africani, più comprendevo che quella poteva essere anche la mia strada”.
Dunque, hai lasciato ogni cosa e sei partita per l’Uganda?
“Si, a Settembre scorso sono partita! Atterrai all’aeroporto di Kigali e cominciai a chiedermi: chissà cosa succederà qui?
Ben presto, mi accorsi che le mie paure iniziali, le mie angosce erano infondate. Ogni giorno, mi svegliavo con stupore, perché sembrava di vivere in un sogno: nonostante la povertà che si poteva toccare con mano, mi innamorai fin da subito di quella meravigliosa terra rossa che, oltre ad entrare nei vestiti, in realtà, stava entrando sempre di più nel cuore”.
Come hai passato le giornate da Settembre ad oggi, in una terra così diversa dalla tua, dalla nostra, e lontana dalla tua famiglia?
“Arrivammo a Rwentobo, nella missione di Giorgio e Marta. Mi ricordo ancora molto bene quando oltrepassai la soglia della porta d’ingresso. Mi sentii subito a casa! Percepii, fin da subito, la sensazione di esserci sempre stata. Il mattino seguente, dopo la colazione comunitaria, iniziai a vedere i vari progetti che Giorgio e Marta avevano messo in piedi nel corso degli anni. Spettacolo!!!
Karidaari Seed, un progetto per bambini disabili (fisici e mentali), unico in Uganda; Wembabasi per le orfanelle. Il primo impatto è stato molto forte, vedere questi volti che inizialmente sembravano tutti uguali, ma che nascondevano storie terribili, come ho scoperto in seguito. Ma nonostante questo, loro erano sempre sorridenti e ti guardavano con quegli occhi pieni di trasparenza ed innocenza. Non parlavamo la stessa lingua, ma capivo che si può andare oltre, oltre i nostri limiti, le nostre barriere, i nostri schemi mentali. Cominciammo la nostra convivenza e ci divertivamo molto tra giochi, abbracci e baci.
Ah, dimenticavo: giocare a calcio con i bimbi disabili è la cosa più bella del mondo; un semplice “goal” sembrava la vittoria per la Coppa d’Africa!
E il momento della doccia, del dormitorio con le bimbe? A stare con loro, capisci che la disabilità, in realtà, è nella nostra mente; quello che cambia le cose non è tanto ciò che facciamo, ma l’amore con cui lo facciamo, quel esserci anche in silenzio, quel farsi “pane spezzato” per loro, fratelli più deboli, più indifesi, più emarginati dalla società”.
Ilaria, la tua esperienza è molto singolare e da speranza a chiunque di poter vivere cristianamente la propria fede a servizio degli altri, semplicemente offrendo la propria disponibilità, il proprio tempo, il proprio amore, come dici tu stessa.
“Si, la si respira il senso del tempo, l’importanza delle relazioni, l’essenzialità delle cose ciò, che noi, purtroppo, qui in Occidente stiamo perdendo.
A voi che leggete, chiediamo soprattutto preghiere per i nostri bambini, perché i prossimi mesi siano benedetti da Dio. Voglio ricordare che chiunque desideri darci una mano, raggiungerci in Africa o contribuire in qualche modo è ben accetto”.
Avete qualche progetto per il prossimo futuro per cui qualcuno potrebbe dare il suo contributo?
“Certamente! Abbiamo in cantiere la prima scuola materna di Rwentobo che potrà ospitare ben 150 bambini di famiglie disagiate. Si chiamerà “Peace and Good”.
Tutti voi potete offrire il vostro contributo, adottare uno dei nostri bambini a distanza e seguirci sui Social, dove troverete nei dettagli tutti i nostri progetti: su Facebook (Giorgio e Marta in Africa – Ewe Mama) ed Instangram (EweMama) o su www.ewemama.org.
Per informazioni ulteriori vi lascio questo recapito telefonico: + 39 3334871377
Infine, vorrei che il mio “grazie” arrivasse a tutte le persone che ci stanno aiutando in questa opera di Dio e ribadire che la missione è più vicina e più possibile di quanto si possa pensare!”.
Grazie a te, Ilaria, per la tua disponibilità. Le nostre preghiere ti accompagneranno, sempre.
Antonella Sanicanti
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