Chi era Ario e perché fu additato come eretico? Nei primi secoli del cristianesimo si diffusero dottrine ritenute eretiche, che offrivano credenze alternative.
L’Arianesimo fu una delle eresie più devastanti dei primi secoli del cristianesimo. Aveva convinto persino un Sant’Agostino ancora acerbo nella fede!
Ne fu artefice il Monaco, presbitero e teologo cristiano Ario (256-333, Libia), il quale predicava che la natura divina del Figlio Gesù Cristo fosse inferiore a quella di Dio Padre. Pensava che il Verbo fatto carne (Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, incarnazione della Parola di Dio) non godesse di esistenza eterna, ma fosse stato creato in seguito, al momento di manifestarsi sulla Terra.
Ario non negava la Trinità, ma affermava la teoria del subordinazionismo e perciò rifiutava la consustanzialità (la stessa sostanza, la stessa natura del Figlio e del Padre).
Si era lasciato, probabilmente, influenzare dalla filosofia neoplatocica dell’epoca (dell’ “Uno” che generava l’universo), convincendosi che Dio, il principio eterno ed indivisibile, origine di tutte le cose, non potesse condividere la sua essenza divina con altre “Persone”.
Il Figlio Gesù, in questa visione, veniva generato e non aveva, quindi, la stessa origine del Padre. Di conseguenza, non poteva essere considerato Dio.
Così, Gesù diveniva, per Ario, una creatura del Creatore, più importante delle altre (degli altri esseri umani), ma pur sempre e semplicemente una creatura.
La dottrina di Ario ebbe un gran seguito, fino al VII secolo.
Tra i suoi seguaci, infatti, ci furono esponenti religiosi e politici molto influenti, che ne protessero la propagazione.
Del resto, anche lo stesso Imperatore Romano Costantino I, che aveva emanato l’editto di tolleranza religiosa nel 313, non si oppose ad Ario fermamente. Il Vescovo Alessandro, ed molti altri con lui, invece, ne denunciarono la tremenda e pericolosa eresia, in un Sinodo del 318.
Ario e il Concilio di Nicea
Il Concilio di Nicea del 325, il primo della storia, tentò anche di ristabilire l’ordine, in merito a questioni religiose importanti.
Ario fu chiamato a dibattere le proprie idee sulla Trinità, davanti all’assemblea, ma non convinse i presenti (pensate cosa sarebbe accaduto se invece ci fosse riuscito!). Gli ribatterono che, se il Figlio di Dio non fosse della stessa natura del Padre, non ci sarebbe motivo di ritenerlo divino, cosa che invece gli Ariani sostenevano.
Ario e i suoi seguaci vennero additati come eretici ed esiliati; Ario stesso venne mandato in Illiria.
Ma Costantino, che desiderava solo la quiete tra i vari Credi esistenti sul suo territorio, dopo appena tre anni, revocò l’esilio e Ario riprese la sua divulgazione.
Il rientro di Ario in Patria
Inoltre, dal Concilio di Nicea, Ario aveva abilmente tratto le seguenti disquisizione, che utilizzò a suo favore: “Può Dio generare un Figlio? Può Dio separarsi in se stesso? Può Dio morire (in croce o in qualsiasi altro modo)?”.
E questo, per i decenni successivi, determinò lotte e persecuzioni contro i cristiani, che si rifiutavano di ridurre Cristo ad un tramite tra cielo e terra.
Gli Ariani si differenziarono in tre gruppi: i radicali Anomei o Eunomiani (per il nome del loro esponente principale Eunomio di Cizico), che insistevano nel dire che “il Figlio è in tutto dissimile al Padre”; i moderati Semiariani (di loro faceva parte anche Ario), che ritenevano “il Figlio simile al Padre, ma non per proprietà di natura, bensì per dono di grazia, nei limiti, cioè, in cui la creatura può essere paragonata al Creatore”; i Macedoniani, che dicevano che “il Figlio è in tutto simile al Padre, mentre lo Spirito Santo nulla ha in comune, né con il Padre, né con il Figlio”.
L’eresia di Ario arrivò in Italia
Da nord a sud, da est a ovest, nessun popolo di quella che ora chiamiamo Europa si salvò dall’avanzata di Ario, tanto che a Milano fu il Vescovo Ambrogio a dover opporre resistenza al sopruso degli eretici.
Singolare ricordare che proprio Agostino, il Santo, nel pieno della sua crisi spirituale, andò a Milano e incontrò il Vescovo Ambrogio, portando il messaggio dell’Imperatore Romano Valentiniano I, che chiedeva di cedere la Basilica agli Ariani.
L’Imperatore aveva ordinato che tutte le Chiese passassero sotto il controllo degli Ariani, riservando a chi disobbedisse la pena di morte. Il dialogo tra Sant’Agostino e Sant’Ambrogio suonò più o meno così:
“L’imperatore pretende che io la ceda? In nome di quale autorità?”.
“In nome dell’autorità conferitagli da Dio”, rispondeva Agostino al Vescovo di Milano.
“Menzogne. Come osate chiamare Dio come vostro garante? Voi non credete in lui, non credete in niente.
E invocate il ritorno degli Dei pagani. Raccontate menzogne! Tornate in voi stessi e chiedetevi quale sia la verità. Solo la verità potrà rendervi veri uomini, uomini liberi. (…) Ricordate cosa vi ho detto: non è l’uomo a trovare la verità, deve lasciare che sia la verità a trovare lui. Perché la verità è una persona, è Gesù Cristo, il figlio di Dio”.
E Agostino allora continuò a seguire i sermoni di Ambrogio, fino a convincersi di dover ritornare a Dio, a quello cristiano.
Il Vescovo Ambrogio, minacciato di morte, per aver disobbedito a Valentiniano I, si chiuse nella Basilica, insieme al suo popolo e da li continuò la sua protesta, fino alla ritirata degli Ariani.
Antonella Sanicanti
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