A Roma, dall’inizio di novembre, sono già morte sette persone senza fissa dimora a causa del freddo. Un allarme che dovrebbe interpellare il cuore di tutti.
Come ogni anno, il problema del freddo si ripresenta, ovviamente, in maniera puntuale. Ogni volta, nelle grandi città, le persone che non hanno una dimora e che vivono in strada devono combattere contro le temperature rigide per salvare la propria vita.
Inaccettabile pensare che accada in una città come Roma
In un mondo di agi e di comodità, dove ci si crede “progrediti” e “civili”, ogni notte un esercito di poveri rischia la vita, e spesso, nel silenzio generale, purtroppo la perde. Uomini e donne che quasi non hanno più nemmeno un nome o un cognome, a cause delle dolorose situazioni avverse a cui la vita li ha portati.
Molte associazioni cattoliche ogni sera ne vanno in cerca, provano ad incontrarli, ad aiutarli, ma non sempre si riesce ad arrivare ovunque. Pensare che però nella Capitale di un Paese come l’Italia in poche settimane possano ancora oggi morire tutte queste persone per il freddo, è assolutamente inaccettabile.
L’ultimo senza fissa dimora defunto per il freddo si chiamava Mario
Da una parte, vediamo infatti gli agi esasperati, gli hotel, il lusso, le grandi ricchezze e proprietà. Dall’altra, uomini e donne sofferenti che non hanno, non solo una stanza, ma neppure una tettoia sotto cui ripararsi, una coperta, una bevanda calda che potrebbe servigli a non lasciarci la vita. Spesso queste persone sono costrette a camminare tutta la notte, per dormire il giorno, quando le temperature sono leggermente più adatte.
L’ultimo di queste persone che hanno perso la vita, denuncia la Comunità di Sant’Egidio, si chiamava Mario e aveva 58 anni. Il giorno dell’Epifania Mario ha perso la vita vicino alla stazione Termini. Oltre al danno, la beffa: si trovava davanti a un albergo chiuso per Covid.
La proposta dell’associazione cattolica: aprire edifici e alberghi
Per combattere questa grave emergenza, l’idea che l’associazione cattolica ha lanciato è quella di aprire edifici pubblici e alberghi inattivi a causa della pandemia alle persone che non hanno un tetto. “Di fronte al freddo – che in questa stagione non può considerarsi un’eccezione – occorre agire in fretta scavalcando l’ordinaria, colpevole, burocrazia che dispensa gli aiuti con il contagocce”, è quanto affermano.
“Anche perché l’inverno, quest’anno, arriva nel cuore di una pandemia non risolta che ha aggravato la condizione di chi vive per strada accentuandone l’isolamento“. Per Sant’Egidio la colpa è da ricercare nella cattiva amministrazione comunale, dove ai posti letto disponibili durante l’arco di tutto l’anno per i poveri, circa ottocento, nei mesi invernali se ne sono aggiunti appena una decina.
Le istituzioni devono dare risposte concrete a chi rischia la vita
La Caritas e le altre associazioni, rispetto al Comune, accolgono il doppio delle persone, circa 1.700. Sant’Egidio negli anni passati ha messo a disposizione persino alcune chiese storiche all’interno della capitale, lanciando un messaggio forte dal punto di vista comunicativo, che ha avuto così molto risalto. Ma è evidente che non basta è che non è quella la strada.
Ci vogliono strutture che aprono a chi rischia la vita per vivere in strada. Che dovrebbero vedere in prima fila le stesse istituzioni. Si parla di circa tremila senza fissa dimora che solo a Roma girando ogni notte per la città in cerca di riparo, di alloggio, di salvezza.
Papa Francesco ha fatto dell’attenzione ai poveri, agli ultimi, agli emarginati e ai diseredati una delle cifre del suo Pontificato, e la Chiesa ogni giorno mette a disposizione tutte le sue capacità per rispondere a questa chiamata. Lo stesso dovrebbero fare le istituzioni, che, almeno a parole, dicono di sposare pienamente il messaggio del Santo Padre. Si passi ai fatti.
Giovanni Bernardi