Una storia che è arrivata al cuore di molti. Una vicenda triste che ha avuto come protagonista un bambino di soli 4 anni.
David è stato ucciso da un colpo di mortaio sparato dai jihadisti dell’Isis. Un racconto doloroso che la mamma del bambino ha deciso di raccontare e rendere pubblico anche a Papa Francesco, nel corso della sua visita in Iraq.
La morte di David, 4 anni: l’inizio di un incubo
Era il 6 agosto del 2014, quando i terroristi dell’Isis si stavano avvicinando a Qaraqosh. Nella notte iniziarono a sentirsi colpi di mortaio esplodere nelle vicinanze della città. Nessuno pensava ad un pericolo imminente o reale, ma la tragedia era dietro l’angolo.
Il piccolo David, 4 anni, stava giocando in cortile insieme al cugino e alla figlia di una vicina. Proprio in quel cortile cadde la prima bomba dei jihadisti. I tre bambini morirono sul colpo: “Il martirio di mio figlio ha salvato i cristiani di Qaraqosh” – racconta Duha, la mamma di David.
La morte dei tre bambini innocenti fu uno shock per la giovane mamma: “Se non fosse stato ucciso, nessuno avrebbe percepito il pericolo e saremmo rimasti tutti qui. E avremmo fatto la fine dei yazidi nel Sinjar: ci avrebbero sterminati tutti”.
Era l’inizio degli attacchi jihadisti nella città della Piana di Ninive che, dalla conquista di Mosul nel giugno 2014, costrinsero i cristiani alla fuga dalle loro case e dalle loro città. In particolare, i cristiani di Qaraqosh erano già scappati due volte dalla città temendo che i jihadisti potessero conquistarla. Un errore quello di pensare di tornare indietro, notando che l’Isis non aveva fatto nulla alla loro città.
Qaraqosh: Duha scappa, con la sua famiglia, per rifugiarsi in Francia
Un pensiero sbagliato, visto che dalla notte fra il 5 e il 6 agosto di quell’anno, i primi colpi di mortaio iniziarono a farsi sentire. Tutti pensarono che sarebbe finita come le altre volte. Ma la morte di David e degli altri due bambini, indusse la gente a scappare definitivamente.
Duha, con la restante parte della sua famiglia, è riuscita a rifugiarsi ad Ebril, dopo aver seppellito il piccolo David. Solo un mese e mezzo nel Kurdistan iracheno, poi la fuga in Libano. Dopo 8 mesi, l’arrivo in Francia. “Non volevamo tornare a Qaraqosh. Troppo pericoloso, troppi brutti ricordi” – spiega Adeeb, marito di Duha e padre di David.
Ma il loro stare in Europa è durato poco, solo due anni e tre mesi: “Siamo stati trattati benissimo, l’educazione per i nostri figli era ottima, soprattutto per la nostra Sarah, che soffre di disabilità” – raccontano.
Ma la voglia di tornare in patria era nel loro cuore, specie quando iniziavano ad arrivare notizie che Qaraqosh era stata liberata: “Ci dissero che la città era libera dai jihadisti e che il cimitero era stato riaperto. Avevamo nostalgia di casa e volevamo assicurarci che la tomba di nostro figlio non fosse stata danneggiata”.
La città liberata dall’Isis e la loro voglia di tornare a casa
Da lì il coraggio di ritornare a casa. Una scelta della quale, poi, si dichiareranno pentiti. La casa, quella a Qaraqosh, ritrovata pesantemente danneggiata.
Duha è stata l’unica fedele che ha avuto la possibilità di parlare con Papa Francesco durante la sua visita in Iraq, nella chiesa dell’Immacolata Concezione. “Gli ho detto che noi abbiamo perdonato i jihadisti per aver ucciso nostro figlio. Non tocca a noi giudicare, sarà Dio a farlo. Ci hanno insegnato a perdonare ed è quello che abbiamo fatto. Sarà difficile da sentire, ma abbiamo sbagliato a rientrare qui e noi oggi vogliamo tornare in Francia. Qui in Iraq non siamo trattati come esseri umani” – spiega.
Come vengono trattati i cristiani in Iraq
La famiglia si aspettava un aiuto da parte del governo, ma ha ricevuto solo dolori e umiliazioni. Non ci sono istituti o percorsi adeguati per le persone con disabilità. Per questo motivo, la loro figlia (che ora ha 14 anni) è stata costretta a lasciare la sua classe: “A scuola la trattavano male. Siamo andati al provveditorato di Ninive per cercare di trovare una soluzione e loro ci hanno detto che non potevano fare niente. “In fondo, il suo posto è in casa”, così ci hanno risposto. Ora ci sentiamo in colpa: in Francia aveva un’educazione e la trattavano bene” – confida Adeeb.
Un altro ostacolo per la famiglia cristiana è, anche, quello di ottenere il certificato di morte del piccolo David: “Io lo so perché ci trattano così. Perché siamo cristiani. L’Isis sarà anche stato sconfitto, ma la loro mentalità non è morta. È ancora viva in questo paese, soprattutto a Mosul. Noi non facciamo che predicare l’amore verso tutti, ma i musulmani non ci vogliono: la loro religione insegna altre cose rispetto alla nostra” – conclude Adeeb.
Da quando il figlio è morto, Duha e Adeeb fanno una vita ritirata, preferiscono restare in casa piuttosto che uscire: “Qui troviamo pace e serenità. La nostra fede è cresciuta ed è diventata ancora più grande. Noi abbiamo perso la cosa più cara che avevamo al mondo. Anche prima non siamo mai stati attaccati al denaro, ma da quando David è morto abbiamo capito che tutti i beni materiali di questo mondo non valgono niente. Siamo molto cresciuti dal punto di vista spirituale e abbiamo capito che la fede è la cosa più importante” – concludono.
Fonte: tempi
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ROSALIA GIGLIANO