La fama di Napoleone non è di certo legata al suo credo, eppure prima di morire lasciò uno scritto sconosciuto ai più, che testimonia la sua grande fede.
Imperatore Napoleone Bonaparte: generale, comandante, uomo politico, re di popolo e chi più ne ha, più ne metta. Di certo, la sua fama di grande uomo non combacia, almeno nell’immaginario collettivo, a quella di buon cristiano. Ma la storia (e le fonti, soprattutto) dicono altro. La figura di questo grande uomo politico può essere anche accostata a quella di un uomo che, sulla via di Sant’Elena, conobbe il Cristo Redentore. E, sappiamo bene, quando un uomo del suo calibro arriva a conoscere la figura di Gesù, il discorso si fa molto interessante.
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Veniamo però alle fonti. Napoleone Bonaparte è autore di un’opera a carattere religioso di marcato calibro editoriale, la quale si avvale di un titolo non indifferente: “Conversazioni sul cristianesimo. Ragionare nella fede”. L’opera, che andrebbe letta per intero, sia chiaro, va a rimarcare alcuni aspetti del suo “incontro” col Redentore e il grande uomo che fu il Bonaparte la presenta al mondo come una conversazione tenuta in esilio (a Sant’Elena per l’appunto) con lo lo scettico generale Bertrand, come la Nuova Bussola Quotidiana lo chiama. Napoleone, come la fonte appena citata ricorda, conosceva (e non poco) anche le altre religioni, soprattutto quelle antiche e il suo ragionamento sulla fede cristiana si basa proprio sulle sue consolidate conoscenze.
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Si tratta di una “conversazione”, dunque prepariamoci ad un “botta e risposta”. Già, perché lo scettico generale più volte ha cercato di far cambiare strada all’ex Imperatore, ma oramai Napoleone aveva “incontrato” Dio e le sue risposte non si fanno attendere. Il punto su cui Bertrand insiste è la “natura” di Gesù, spesso considerato un uomo al pari di personaggi come Alessandro Magno, il profeta Maometto, Cesare. Napoleone mette in chiaro un punto: nel suo scritto egli sostiene che <<Gli spiriti superficiali vedono una somiglianza tra il Cristo e i fondatori di imperi, i conquistatori e le divinità delle altre religioni. Questa somiglianza non c’è: tra il cristianesimo e qualsivoglia altra religione c’è la distanza dell’infinito>>.
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Il discorso si fa ancor più interessante, nel mezzo del suo scritto, quando si arriva a riflettere sul concetto di tempo. Infatti, l’Imperatore francese chiede al generale: <<Ma l’impero di Cesare quanti anni è durato? Per quanto tempo Alessandro si è sostenuto sull’entusiasmo dei propri soldati? […] I popoli passano, i troni crollano ma la Chiesa resta>>. Qual è, dunque (si chiede Napoleone), la forza che tiene in piedi questa Chiesa, assalita sempre di più dal “disprezzo del mondo”? Ed è qui, che l’illustre comandante dei popoli arriva a un forte ragionamento: Gesù esclusivamente grande uomo? Decisamente no. L’esercito, dopo le sconfitte, si è dimenticato del suo comandante. Dice Napoleone: “Una sola sconfitta ci disintegra”, mentre Gesù, il Cristo, è sempre qui. “Cristo affida tutto il proprio messaggio alla propria morte: come può essere ciò l’invenzione di un (semplice) uomo?”.
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