Le comunità cristiane della Siria in guerra si preparano a vivere il Natale. La loro povertà ricorda purtroppo quella in cui è nato il Signore, a Betlemme.
Le testimonianze del nunzio apostolico, card. Mario Zenari, e dei parroci delle zone dove si combatte ancora, toccano le corde più profonde dell’anima. “Ogni volta che si avvicina il Natale penso alla nascita di Gesù, alla Sacra Famiglia che, scesa a Betlemme, non trovò un alloggio dignitoso ma solo una grotta dove ripararsi”, è quanto afferma Zenari.
Papa Francesco ha inviato a tutte le diocesi siriane, 60 mila euro ciascuna. Grazie a questi potranno combattere contro il Covid. Ma nonostante ciò le famiglie siriane, in vista del Natale, vivono in una condizione di vera emergenza. Il senso di abbandono e di solitudine è però ancora più grande. Le famiglie non hanno possibilità di fare l’albero e il presepe perché il loro primo pensiero e trovare il pane per i loro figli, spiegano i vescovi.
“Basterebbe un po’ di cibo per donare un po’ di festa a queste famiglie. Con uno stipendio mensile di pochi dollari non si riesce a comprare più nulla. La gente è disperata”, denuncia padre Antonio Ayvazian, parroco armeno di Qamishli, nel nord Est siriano. “A Natale non ci saranno il presepe e l’albero. Ci resta il dono più grande: la nostra fede cui ci aggrappiamo per continuare a sperare”.
Mancano infatti solo pochi giorni al Natale, e mentre la comunità cristiana si prepara, gli jihadisti hanno proibito decorazioni esterne e luminarie, hanno tolto tutte le croci dalle chiese o imposto di indossare il saio. Padre Hanna Jallouf, francescano della Custodia di Terra Santa e parroco latino di Knaye, uno dei tre villaggi cristiani della Valle dell’Oronte, spiega che sono già sono pronte altre iniziative.
“Il 15 dicembre cominciamo la novena di Natale, il 23 distribuiremo piccoli doni ai bambini. Il 24 e il 25 dopo la messa ci scambieremo gli auguri con qualche confetto”, racconta. “Festeggiare il Natale è segno di speranza e di gioia per tutti. La Provvidenza non ci abbandona: quando non ho più nulla da dare dico al Signore, questo è il tuo gregge, chi deve pensarci? Ecco allora che arriva sempre un aiuto”.
Tuttavia per il popolo siriano “sarà anche questo un Natale di povertà, al freddo, come nella grotta di Betlemme”, afferma Zebari, a cui Papa Francesco ha donato una fascia color porpora che gli ricorda ogni giorno la sua missione. Quella cioè di condividere le sorti della popolazione siriana martoriata.
L’emergenza umanitaria a Damasco coinvolge 12 milioni di persone tra rifugiati fuori i confini siriani e sfollati interni. Famiglie che vivono come possono. Alcuni sotto le tende, altri lontano dalle case, altri ancora all’addiaccio, a cielo aperto. Sulla strada si vedono file interminabili di gente in attesa di comprare del pane a prezzo agevolato dal Governo.
Nei suoi report, l’Onu spiega che a Damasco e in altre aree della Siria la povertà morde sempre più. Ormai l’83 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Servono beni di prima necessità, pane, latte, gasolio, medicine. Più di tutti, la crisi la pagano i più piccoli, che vedono i propri genitori tornare a casa, spesso, con giusto un po’ di pane, e persino di bassa qualità, vista la mancanza di farine adatte.
A questo stato drammatico si è aggiunta la crisi del Coronavirus. Qui la crisi sanitaria può risultare più contenuta per il fatto che trattandosi di un Paese chiuso non arriva nessuno. Il progetto “Ospedali Aperti” ha fatto in modo che molte persone avessero cure domiciliari. Ma il sistema sanitario siriano è ridotto ai minimi termini a causa della guerra. Anche trovare una mascherina sembra in taluni casi una missione impossibile. Perciò l’appello del cardinale Zenari risuona nel profondo.
“Che questo Natale scaldi il cuore di tanti nel mondo, che nonostante la pandemia, possano davvero ricordarsi della Siria. Impariamo dalla nostra sofferenza per aiutare chi ne ha una più grande”.
Giovanni Bernardi
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