Il fatto grave e crudele avvenuto negli Stati Uniti, mostra la violenza di una cultura che non fa spazio alla pietà cristiana ma al contrario cerca di rilegarla ai margini dell’esperienza umana.
A un uomo condannato alla pena di morte è stata negata anche la preghiera cristiana prima dell’esecuzione, mostrando così la brutalità di un mondo in cui nemmeno alla fine della vita si fa spazio al Signore, che ama tutti e senza condizioni, perdonando fino all’ultimo.
La crocifissione del Buon Ladrone, a fianco del Salvatore Gesù Cristo per come narrato nei Vangeli, ci mostra che la misericordia del Signore non si nega mai a nessuno, nemmeno all’ultimo dei criminali o dei peccatori. Eppure, nell’America che un tempo era nazione cristiana, tanto da inserire Dio nella loro Costituzione, chiedere di giurare sulla Bibbia ad ogni presidente, o indicare sulle stesse monete, il dollaro, “In God we trust”, sembra non ci sia più spazio per questo tipo di amore incondizionato che proviene direttamente dal Signore.
Lo mostra la vicenda di un carcerato cattolico a cui è stata negata la presenza del sacerdote prima della sua esecuzione. Il fatto è accaduto in Texas, dove l’esecuzione capitale è ancora attiva, e nel chiedere la presenza del prete, il condannato a morte si è visto rifiutarla. A molti, tutto ciò è parsa come una vera e propria offesa ai valori cristiani, su cui si fonda la storia moderna del Paese.
Lo ha raccontato il sito The Atlantic, spiegando che il vero motivo del rifiuto dato dalle autorità è che non si voleva troppo “umanizzare” l’esecuzione. Che al contrario è eseguita con procedure meccaniche, totalmente fredde e sterili. Il condannato, infatti, viene portato il sala, legato al lettino in caso di iniezione o alla sedia elettrica, e non pronuncia nemmeno una parola.
In sostanza l’obiettivo è quello di uccidere e di farlo senza troppe cerimonie intorno. Già in passato la discussione si era accesa quando un condannato a morte aveva chiesto la presenza di un monaco buddista, per protestare contro il fatto che la permette solo l’accompagnamento di cappellani cristiani o esponenti dell’islam. In questo caso, però, anche al povero cattolico è stata negata la presenza del sacerdote nella sala esecuzioni.
L’incredibile risposta data dalle autorità è stata che il condannato a morte può pregare da solo in silenzio. Sarebbe buffo se fosse stato il contrario, con una sorta di fantascientifica polizia del pensiero che vietasse lui anche di pregare nella propria interiorità. In tutto ciò, emerge anche la fondamentale differenza per i cristiani della preghiera recitata in privato e al contrario della recita ad alta voce, e condivisa, della propria fede, come accade a Messa.
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Non a caso, “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, affermò Gesù nel Vangelo. E anche il peggiore dei furfanti ha diritto della vicinanza e dell’amore del Signore per le sue creature. Questo non per diritto umano, ma semplicemente per Verità divina, per il fatto cioè che il Dio che si è manifestato all’umanità per mezzo di Suo Figlio Gesù ama tutti e senza differenze o condizioni, come anche si fa presente e vicino in ogni circostanza qualora il cuore del fedele sia davvero disposto a riceverlo e a invocare il perdono dei suoi peccati.
Sarebbe infatti quella la vera redenzione che il cristiano è invitato a chiedere ad un suo fratello, o sorella, anche quando ci si macchia del peggiore crimine, e di certo non deve rispondere con la pagana legge del taglione, quella dell’occhio per occhio dente per dente, che si esprime nella pena di morte.
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Insomma, la Corte suprema Usa dando ragione alla decisione texana si schiererà contro la Chiesa e contro Gesù. La preghiera, dialogo con Dio, ha bisogno di essere pronunciata ad alta voce e in maniera comunitaria, purtroppo anche nel momento del dolore più grande, la morte. Anche di fronte a un peccato mortale, l’infrazione del quinto comandamento: “Non uccidere”.
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