Nemmeno la dimostrazione che Alfie è ancora in grado di respirare da solo ha convinto la corte britannica a dare la chance ai genitori di portarlo in Italia. Sono stati giorni pregni di pathos quelli appena passati a Liverpool; lunedì l’Alta Corte ha respinto l’ultimo appello di Thomas Evans e compagna dando il via liberà all’Alder Hey Hospital per avviare la procedura di spegnimento dei macchinari di ventilazione ed alle 21:21 Alfie è stato scollegato dalle macchine. Doveva essere il capitolo finale di una lunga battaglia legale e mediatica, ma il bambino, contrariamente a quanto sostenuto dai medici, ha superato la notte ed ha costretto l’alta corte a fissare un’ulteriore udienza per deliberare sul futuro del piccolo.
Alfie può tornare a casa ma non andare in Italia
Nel corso dell’udienza non si è deciso per il trasferimento al Bambin Gesù di Roma, come speravano i genitori del bambino i rappresentanti dell’ambasciata italiana ed i tanti che si sono appassionati alla vicenda, ma, semplicemente, al permesso di portare il bambino a casa dall’ospedale. Questo perché a detta dell’onorevole giudice Hayden la cerchia attorno alla famiglia Evans alimenta false speranze di ripresa. Insomma la vicenda Alfie Evans si è conclusa come quella di Charlie Guard e alimenta ancora una volta il dilemma etico sul limite da non oltrepassare per giungere all’accanimento terapeutico.
Ciò che non si comprende, inoltre, è il perché non è stato concesso il trasferimento in Italia, pur ammettendo che la futura terapia sarebbe stata probabilmente inutile al miglioramento delle condizioni del piccolo, perché togliere la seppur minima possibilità ai genitori? Perché non permettere ad un altro stato, con una legislazione differente, di prendersi carico dei costi di una terapia che in Inghilterra è stata giudicata non utile al miglioramento delle condizioni del bambino? Probabilmente la risposta è contenuta in quest’ultima domanda, ovvero nell’assoluta convinzione che qualsiasi altro tentativo non avrebbe giovato alla salute di Alfie, ma perché allora non accettare di avere una prova a sostegno di questa certezza?
Luca Scapatello