Nel luogo più sacro di tutta la cristianità, dopo un lungo e difficile periodo a causa della pandemia, si sta verificando un fenomeno che dà nuovamente grande speranza.
Nel luogo prediletto dal Signore, possa torna la serenità e la speranza, che abbondavano prima del Covid.
Dopo la riapertura delle frontiere di Israele, infatti, e della ripartenza del lavoro degli aereoporti, nonché dell’avanzare della campagna vaccinale, finalmente per i cristiani di Betlemme sembra riaccendersi una nuova luce dal punto di vista lavorativo. Quella di potere finalmente tornare a vivere del lavoro delle proprie mani.
La speranza che ritorna proprio nei giorni di Natale
La Provvidenza vuole che questa luce si accenda in contemporanea di quale più grande di tutte, dell’arrivo di Gesù nella vita di ciascuno attraverso la memoria della Sua nascita. Gran parte dei cristiani che oggi vivono nella città dove oltre duemila anni fa nacque il Signore si procura il cibo lavorando negli hotel che ogni anno accolgono pellegrini da tutto il mondo.
Lo fanno svolgendo le mansioni più disparate. Ad esempio, fanno le guide dei pellegrini, fabbricano piccoli oggetti artigianali con materiali come il legno d’oliva, la madreperla o la ceramica, o infine gestiscono piccoli negozi per i pellegrini. Nell’ultimo anno però i pulmann turistici sono stati quasi azzerati, e per gli abitanti della città la vita comincia ad essere davvero dura. Molto più che in tutto il resto della Terra Santa.
Ad esempio in Israele la situazione appare meno dura perché esistono comunque forme di welfare che sono praticamente inesistenti in altri territori della Palestina, come ad esempio Betlemme. Alcuni piccoli artigiani riescono però a stare a galla senza aiuti esterni, come Robert Giacaman, che gestisce con tre fratelli un laboratorio artigianale di oggetti religiosi, con presepi e statuine, proprio a due passi dalla Piazza della Natività di Betlemme, a dove si trova la Basilica.
La storia di un commerciante che non ha mai smesso di darsi da fare
La sua storia raccontata dalle emittenti vaticane è una realtà di dolore, sacrifici e determinazione. E che si origina nel lontano 1930, quasi un secolo fa, per mano del nonno Elias che la aprì per primo e che poi la passò a suo padre Salem. Oggi il negozio è ancora chiuso al pubblico, a causa della pandemia, ma in questi ultimi due anni hanno comunque continuato a lavorare rifornendo negozianti all’estero, e questo gli ha permesso di non chiudere l’attività.
“Noi siamo abituati a vedere la città sempre piena di pullman che arrivano per visitare questa città santa. Questo incubo della pandemia ci ha mostrato la città vuota e ci ha fatto sentire molto tristi. All’inizio della pandemia eravamo tutti a casa, e vedere che nessuno degli operai andava a lavorare, è stato tragico“, ha raccontato l’uomo alla Radio Vaticana.
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“Betlemme dipende proprio dal turismo, e quando manca, qui non lavora nessuno, neanche quelli che vendono la verdura. Grazie a Dio, dopo poco tempo, noi abbiamo cominciato ad avere commesse dall’estero, tramite alcune associazioni cattoliche e altre, che ci hanno fatto un po’ di richieste per i nostri oggetti cristiani che riguardano il Natale e la Pasqua e questo ci ha aiutato a riprendere l’attività anche durante la pandemia e ci ha anche dato la possibilità di far tornare in laboratorio degli operai che stavano proprio a terra, senza quel lavoro”.
Da dove venne alla luce il Signore tanti inviano aiuti e chiedono prodotti
Insomma, è un dato di fatto che la vita economica della terra in cui venne alla luce il Signore dipende oggi anche dalla richiesta e dalle intenzioni, insieme al buon cuore, di tanti grandi e piccoli imprenditori che si trovano nei più svariati posti del mondo e che domandano la sua merce, quella del negozio “Il Bambino, art and sculpture” dei fratelli Giacaman, a Betlemme.
“Fino ad ora siamo riusciti a far lavorare i nostri operai e a mantenere in piedi la nostra ditta. Ma purtroppo a Betlemme sono in tanti ancora senza lavoro, e questo piccolo numero di pellegrini non può far ripartire davvero la città. Aspettiamo che arrivino più pellegrini, come due anni fa e che la città si riprenda. Noi poi non abbiamo sostegno economico da nessuno, quindi dobbiamo basarci solo sulle nostre forze”.
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Si pensa infatti a quanto accadeva negli scorsi anni a Betlemme prima dello scoppio della pandemia, quando il turismo era vitale e molti decidevano di recarsi in questa terra per trascorrere le vacanze natalizie nei luoghi in cui nacque e visse il Signore. Oggi, i cristiani a Betlemme sono una minoranza ma nonostante ciò, spiega Robert, “è una grande gioia per noi vedere i nostri fratelli cristiani in tutto il mondo, specialmente gli italiani, che sono più vicini a noi, celebrare con noi il Natale. Loro ci danno non solo la forza commerciale, ma anche quella spirituale. Quando si avvicina il tempo natalizio, noi a Betlemme pensiamo solo al Natale, quindi vedere questi fratelli al nostro fianco, che pregano insieme a noi, ci dà una grandissima gioia e ci dà la forza anche di resistere come cristiani in Terra Santa.