Si è aperta su questo punto l’omelia di papa Francesco nella messa della Vigilia nella basilica di San Pietro. Il risvolto più sorprendente della notte della Natività è probabilmente il modo in cui l’angelo “indica ai pastori come trovare Dio venuto in questa terra”. Il segno è semplicemente “un bambino nella cruda povertà di una mangiatoia”.
I pastori di Betlemme sono stati posti al centro dell’omelia della Vigilia di Francesco. Venendo al mondo nelle fattezze di un Bambino, Dio nobilita la piccolezza che è in noi e la vita nascosta di tanti umili.
Uno “scandaloso stupore”
“Non ci sono più luci, fulgore, cori di angeli. Solo un bimbo”, ha osservato il Santo Padre. Il Vangelo, ha aggiunto, enfatizza il “contrasto” tra la potenza dell’imperatore Augusto, che ordina “il censimento di tutta la terra”, e l’umiltà di Dio che nasce bambino “a Betlemme, dove di grande non c’è nulla”.
Dio, infatti, “non cavalca la grandezza, ma si cala nella piccolezza. La piccolezza – ha proseguito il Pontefice – è la via che ha scelto per raggiungerci, per toccarci il cuore, per salvarci e riportarci a quello che conta”.
Contemplando il presepe, bisogna andare “oltre le luci e le decorazioni” per contemplare “il Bambino”, nella cui piccolezza “c’è tutto Dio”. Di fronte al “Dio-bambino”, dovremmo lasciarci “attraversare da questo scandaloso stupore”.
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È paradossale: “Colui che abbraccia l’universo ha bisogno di essere tenuto in braccio. Lui, che ha fatto il sole, deve essere scaldato. La tenerezza in persona ha bisogno di essere coccolata. L’amore infinito ha un cuore minuscolo, che emette lievi battiti. La Parola eterna è infante, cioè incapace di parlare. Il Pane della vita deve essere nutrito. Il creatore del mondo è senza dimora”.
In cerca degli “invisibili”
Un Dio che si fa bambino interroga le coscienze: “sappiamo accogliere questa via di Dio?”. Mentre Lui “si fa piccolo agli occhi del mondo”, noi continuiamo a “ricercare la grandezza secondo il mondo, magari persino in nome suo”. Mentre “Dio si abbassa”, noi insistiamo a voler “salire sul piedistallo”. Mentre “l’Altissimo indica l’umiltà”, noi “pretendiamo di apparire”.
Mentre “Dio va in cerca dei pastori, degli invisibili”, noi “cerchiamo visibilità”. Gesù “nasce per servire”, mentre noi “passiamo gli anni a inseguire il successo”. Dio, però, “non ricerca forza e potere, domanda tenerezza e piccolezza interiore”.
Gesù appena nato ci insegna che la vera “grandezza” è nella “piccolezza”. Accogliere la piccolezza, ha spiegato il Papa, significa innanzitutto “credere che Dio vuole venire nelle piccole cose della nostra vita, vuole abitare le realtà quotidiane, i semplici gesti che compiamo a casa, in famiglia, a scuola, al lavoro”. Nella nostra ordinarietà, Dio “vuole realizzare cose straordinarie”.
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Se Dio è con noi “che cosa ci manca?”. È tempo, allora, di lasciare “alle spalle i rimpianti per la grandezza che non abbiamo”; di rinunciare “alle lamentele e ai musi lunghi, all’avidità che lascia insoddisfatti”.
Cercare Dio già quaggiù
La piccolezza in cui si manifesta Gesù è anche “nel nostro sentirci deboli, fragili, inadeguati, magari persino sbagliati”. Le nostre ferite interiori ci gridano: “Conti poco, non vali niente, non sarai mai amato come vuoi”. Nella notte di Natale, al contrario, Dio ci dice: “Ti amo così come sei. La tua piccolezza non mi spaventa, le tue fragilità non mi inquietano. Mi sono fatto piccolo per te”.
Dio si fa “fratello” di ognuno di noi e ci chiede: “Fidati di me e aprimi il cuore”. Amarlo è anche “servirlo nei poveri” e “negli ultimi”, nei quali “vuole essere onorato”. C’è solo un “timore” che dovrebbe assalirci nella notte di Natale: “ferire l’amore di Dio, ferirlo disprezzando i poveri con la nostra indifferenza”. Come scriveva Emily Dickinson, “chi non ha trovato il Cielo quaggiù lo mancherà lassù”.
Appena nato, Gesù è circondato dai “pastori”, ovvero dai “più semplici” e “più vicini al Signore”. Gesù nasce quindi “vicino ai dimenticati delle periferie”, dove “la dignità dell’uomo è messa alla prova”; non si rivela a “personaggi colti e importanti, ma a gente povera che lavorava”, viene a “colmare di dignità la durezza del lavoro”.
Francesco ha colto l’occasione per ricordare che “l’uomo è signore e non schiavo del lavoro” e ha lanciato un appello: “Nel giorno della Vita, ripetiamo: basta morti sul lavoro!”.
Nel presepe, tuttavia, non vi sono solo “gli ultimi, i pastori, ma anche i dotti e i ricchi, i magi”. Questo ci fa capire che “attorno a Gesù, tutto si ricompone in unità”.
In conclusione, Bergoglio ha implorato: “Dio ci conceda di essere una Chiesa adoratrice, povera e fraterna”. E ha esortato: “Alziamoci, ridestiamoci perché stanotte una luce si è accesa”: quella “di Gesù, che da stanotte brilla nel mondo”.
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