Perché la nostra fede sia apprezzata e venga desiderata e imitata, necessita di testimonianza. Siamo il sale della terra, dice Gesù, e come tale dovremmo rendere saporita ogni azione, di fronte agli uomini e a Dio.
Ci riconosceranno da come ci ameremo, dice ancora il Maestro, e la nostra fratellanza, il nostro fine comune deve essere chiaro segno della ricerca spirituale e della nostra impostazione di vita.
Così, non importa da quale cultura o famiglia o fede proveniamo, potremo insieme arrivare a formare il Corpo di Cristo, in quanto ognuno è membro indispensabile perché avvenga l’unità in Cristo Signore, appunto, dell’umanità intera.
La Chiesa che accoglie e aspetta pazientemente i frutti della sua testimonianza nel mondo, può cosi auspicare che l’Europa si unisca in un sol canto di lode.
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana e del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), di ritorno da importanti viaggi nell’est dell’Europa afferma:
“La Chiesa crede nell’Unione Europea, ma con una base non individualista e materialista, bensì di ordine culturale e spirituale. L’Unione o rispetta le identità dei popoli, oppure continuerà ad essere percepita come estranea e, quindi, senza futuro. Crediamo che non sarebbe un bene: come ogni continente, l’Europa ha una sua missione nel contesto del mondo, e ha a che fare con un mondo globale che cresce.”.
Certo, l’unione nasce dal riconoscersi diversi, ma tutti bisognosi. Nessuno dovrà mai sentirsi l’escluso o l’ultimo arrivato o colui che non può integrarsi. Tutto questo si realizza quando il fine è comune e va al di la dei confini delle nazioni e della nostra anima, perché si spinge verso il cielo.
Continua il cardinale: “Il 60° anniversario del Trattato europeo è un’occasione propizia affinché i capi di Stato confermino il sogno europeo e facciano un serio esame di coscienza se il progetto è rimasto fedele ai “padri fondatori”. I segnali di diffidenza e di lontananza dall’Unione ci sono. Non prenderli sul serio sarebbe da irresponsabili.”. “Abbiamo constatato anche che oggi il bisogno religioso non sta morendo in Europa: al contrario, cresce. Spesso non è ancora fede, ma il fatto che le persone, specie i giovani, sentano il richiamo di Dio, che la vita non si può esaurire nelle cose materiali, è un segno positivo che dà fiducia e indica la strada da percorrere con coraggio. Siamo convinti che l’Europa debba ritrovare la sua anima, il senso della sua storia e della sua identità, che non può essere né economica, né finanziaria, e neppure solo politica.”.
In questo modo la ricerca di una spiritualità comune non spaventerà nessuno, sappiamo infatti che Cristo è venuto per i malati, non tanto per i sani. Da questo potremmo prender forza per quanto ancora c’è da fare, al fine di raggiungere gli angoli della Terra in cui il messaggio evangelico non è ancora chiaro.
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