Le parole del vescovo Kukah per la festa dell’indipendenza in Nigeria smontano ogni retorica della cancel-culture. Spesso si grida alla lotta, ma con quali risultati?
Per anni, infatti, il vescovo ha spiegato che nel suo Paese si è urlato all’invasore straniero, europeo, bianco e occidentale. Il colonizzatore che avrebbe rubato la terra al suo popolo. La realtà che racconta il religioso, però, è un’altra. Che cioè l’arrivo dei “bianchi”, con lo sfruttamento delle terre e delle risorse prime nigeriane, ha timidamente posto le prime basi per la costruzione di un’economia nel Paese.
“Per quanto possa sembrare strano, vorrei anche ringraziare i nostri colonizzatori perché hanno unito i nostri popoli diversi e per tutti gli sforzi che hanno fatto per assicurare che avessimo tutto ciò di cui un popolo ha bisogno per fondare uno Stato moderno”, ha infatti scritto in una lettera il vescovo di Sokoto, monsignor Matthew Hassan Kukah, in occasione del 60esimo anniversario dell’indipendenza della Nigeria che si è celebrato lo scorso 1 ottobre.
“È anche il momento di ringraziare quei missionari coraggiosi e altruisti che hanno posto le fondamenta della nostra civiltà moderna mettendo a nostra disposizione un’educazione di alta qualità”, ha proseguito il religioso. “Noi dobbiamo apprezzare il contesto del colonialismo e la sua filosofia guida, lo sfruttamento delle nostre risorse.
Dobbiamo infatti ammettere che sono così state poste le basi solide per l’estrazione delle nostre risorse e lo sviluppo del paese. I loro interessi sono stati sepolti nel ventre del paese che hanno creato. Oggi, noi abbiamo distrutto le istituzioni che hanno creato e distorto la loro visione del nostro sviluppo“.
Un messaggio quindi di pace e armonizzazione, prima che con “l’invasore”, con il proprio popolo, con la propria storia, e con la capacità di guardare ai fatti della realtà con occhio scevro da pregiudizi, e quindi con il buonsenso. L’esatto opposto di chi, in Occidente, grida invece alla distruzione del passato e di ogni memoria storica.
Abbiamo visto infatti negli ultimi mesi folle inferocite negli Stati Uniti e in tutto il pianeta, tentare di cancellare ogni rimando a un passato che viene visto malvagio ad ogni costo. Le statue di Cristoforo Colombo sono state abbattute perché era un “colonizzatore”. Ma senza Cristoforo Colombo, esisterebbe il sogno americano? Esisterebbe tutto quello che permette a quei giovani di vivere le loro vite, di scendere in piazza a protestare per i loro presunti “diritti”?
La realtà è che senza Colombo non esisterebbero gli Stati Uniti. Lo stesso, seppure in modalità differente, è accaduto in Nigeria, ha spiegato il vescovo. “L’1 ottobre 1960, quando siamo diventati indipendenti, la nostra gioia sembrava non avere fine”, racconta.
“Era il mio primo anno alle scuole elementari. Siamo tutti usciti di casa con i vestiti migliori che avevamo per ascoltare il preside che parlava dei terribili uomini bianchi che erano venuti a rubare le nostre terre. Io non capivo queste parole perché non avevo mai visto nessuno impedire a mio padre di andare a coltivare i campi. Noi giocavamo liberamente nel nostro villaggio e io pensavo: quale terra i bianchi ci hanno rubato?“.
“Fino ad allora avevo visto sì e no due uomini bianchi in tutta la mia vita. Erano entrambi sacerdoti e anche se non capivo pienamente che cosa fosse un prete, erano uomini buoni e venivano da un paese lontano“, spiega. Ringraziando il giorno in cui uomini venuti da lontano hanno portato a lui la fede, il cristianesimo, Gesù.
“Loro avevano costruito una chiesa e una scuola per il nostro villaggio e quelli erano gli unici edifici senza il tetto di paglia che avessi mai visto”, spiega. “Era impossibile per me comprendere come gli uomini bianchi potessero essere malvagi o rubarci la terra. L’insegnante parlava di una nuova canzone che dovevamo intonare in lode del nostro nuovo paese, anche se io non vedevo niente di nuovo.
Non avevo la minima idea di quello che si diceva in quella canzone ma tutti cercavamo di mormorare qualcosa eccitati. Il più grande tesoro per me erano le bandierine e le tazze che ci avevano distribuito. Stringere tra le mani la prima tazza della mia vita e agitare quella bandierina appariva come una enorme contraddizione rispetto al ritratto dell’uomo bianco ladro che faceva il preside”.
Dall’assassinio del primo ministro Abubakar Tafawa Balewa, in un paese che prima di quel momento non aveva avuto alcun rancore o spargimento di sangue, la Nigeria fu sconvolta. Una guerra civile dietro l’altra ha sparso sangue per tutte queste terre. Massacri senza fine hanno scandito ogni giorni le vite delle comunità nigeriane. Per arrivare a oggi, in una situazione ancora più esplosiva, a cui nessun leader nigeriano è mai riuscita a porre fine.
“I sogni di ieri sono diventati i nostri peggiori incubi. Dopo 60 anni, gli spargimenti di sangue sono entrati a far parte della nostra cultura e delle nostre vite. Quindi, come possiamo festeggiare?”, ha affermato rassegnato il vescovo. “Ciò che abbiamo ereditato, l’abbiamo depredato, distrutto o gettato via. La nostra nazione è cosparsa di progetti inutili, iniziati e abbandonati negli anni ma tutti pagati. L’arte di governo è ormai un’impresa criminale, invece che un servizio”, è la dura presa d’atto.
L’attuale presidente Muhammadu Buhari, per il religioso, non ha mantenuto alcuna promessa fatta in campagna elettorale. “Siamo tutti davanti a un dilemma: oggi è la festa della nazione ma come passiamo cantare se il nostro paese è diventato una Babilonia?”, ha concluso.
“Penso che anche il nigeriano più ottimista sia convinto che non siamo neanche lontanamente prossimi a definire il vero senso della democrazia”
Giovanni Bernardi
Fonte: Tempi
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