UNA TEMPISTICA SBAGLIATA HA SALVATO MADRE E FIGLIA DA UN ABORTO
Veronica e Maritè sono madre e figlia, unite da una storia molto particolare.
Poche ore prima del parto, Veronica venne informata che la piccola (nata nel 2011) sarebbe venuta al mondo con la sindrome di Down. “Terrore, ecco, ho provato terrore perché era la prima volta che mi approcciavo al mondo Down e, per la schiettezza con cui i medici mi presentarono la situazione, dicendomi: “C’è una trisomia del cromosoma 21.”. Lì capii che la mia sarebbe stata una missione che non avevo scelto, per tutta la vita.”.
Fino a quel momento, Veronica aveva sempre condiviso la scelta delle mamme che, nel 96% dei casi, scelgono di non portare avanti una simile gravidanza. “Sarò sincera, la Veronica di quei tempi, se avesse saputo in tempo utile, avrebbe accampato qualche scusa e di certo abortito.”. Ma a Veronica quel “tempo utile” non è stato dato e la situazione si presentava in maniera diversa dalle aspettative.
“Paura e angoscia sono svanite in un attimo, appena ho potuto ammirare la bellezza sconvolgente di mia figlia, che è sempre una meravigliosa scoperta.”. “Le difficoltà quotidiane non mancano, figuriamoci, dal deficit di linguaggio all’ipotonia. E senza dimenticare la brutta leucemia che l’ha colpita, per via della sua maggiore suscettibilità alle malattie. Ma tendenzialmente la situazione migliora dopo i primi due anni di vita.”.
Aver saputo in ritardo quale fosse lo stato della sua gravidanza e le condizioni della bimba ha sicuramente cambiato le sorti di Veronica e della sua famiglia, ma soprattutto il suo concetto sull’handicap.
Ora è autrice del libro “Maritè non morde” e dichiara: “Il mio è un grido di rabbia, ma anche un inno alla vita.”.
Un inno al diritto di vivere -potremmo aggiungere. Per questa ragione, parte del ricavato della vendita del libro verrà devoluto alla ricerca, in particolare al progetto della biologa molecolare Rosa Vacca (mamma, pure lei, di un bimbo con la sindrome di Down), sulle molecole nutraceutiche, che potrebbero davvero fare la differenza.
“Mi pongo spesso la domanda su cosa succederà quando io non ci sarò più, ma in cuor mio nutro la speranza che possa farcela da sola.”.
E’ una domande che si fanno in molti, tra i famigliari dei portatori di handicap, che vedono le istituzioni ignorare i loro disagi. “Lo Stato dovrebbe agire molto di più sulla formazione, tanto per cominciare, elemento chiave se si vuole davvero realizzare una piena integrazione. E investire anche di più per una maggiore disponibilità di terapisti, dal momento che noi genitori impariamo, sì, per imitazione, ma non siamo certo operatori qualificati. Noi facciamo il massimo. Ma ricevere maggiori attenzioni, anche da chi amministra la cosa pubblica, sarebbe doveroso.”.
Speriamo sinceramente che l’appello di questa madre, come quello di altre famiglie in difficoltà, possa servire da sollecito alle strutture legislative e sanitarie, affinché dedichino a Maritè e agli altri bambini la giusta considerazione e i mezzi appropriati, per un’efficace e repentina inclusione nella società.
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