Con le nuove tecnologie la nostra privacy è sempre più a rischio, i nostri smartphone sono dotati di assistenti in grado di percepire delle parole ed in base a quelle condurre ricerche correlate. Il problema è che gli assistenti vocali sono direttamente collegati al microfono del nostro dispositivo entrando in funzione automaticamente a meno che non si disattivino manualmente.
La questione privacy è ampiamente dibattuta e la preoccupazione è che anche i momenti più intimi possano essere diffusi involontariamente. Recentemente Mark Zuckerberg (creatore di Facebook) ha dichiarato che in effetti l’app del famoso social network è collegata al microfono, che questo non gli permette di creare delle pubblicità apposite in base alla discussioni percepite (che vengono scelte invece in base alle ricerche ed alle preferenze impostate dagli utenti) ma che comunque per preservare la privacy consiglia ai suoi utenti di disabilitare il microfono.
Se Facebook non è interessato alle nostre conversazioni, ciò non toglie che altri assistenti vocali siano impostati anche a tale finalità (Siri, Amazon Echo, Cortana etc…) e che il consiglio di Zuckeberg sia valido in generale per l’utilizzo di qualsiasi app contenuta nello smatphone. Questo discorso diventa di vitale importanza nel momento della confessione, il sacramentale, infatti, è valido solamente se la conversazione tra il penitente ed il sacerdote rimane privata, in questo senso la percezione di estratti della confessione potrebbe essere un danno non da poco.
Nel 1988 la Chiesa si espresse riguardo alle nuove tecnologie di registrazione, vietandone l’utilizzo durante il confessionale (la divulgazione di una confessione è un peccato, un delitto contro la fede). Nel “Decreto riguardante la scomunica per colui che divulga le confessioni” viene sancito come l’atto di registrare una confessione (con qualsiasi strumento tecnologico) tolga dignità al sacramento invalidandone l’efficacia. Chiaramente questo decreto non poteva comprendere lo smartphone, ma la dottrina è talmente generale da comprendere anche la situazione odierna.
Anche se si parla di ascoltare e non registrare ed è solo il sacerdote quello costretto a rispettare il silenzio sacramentale, chiunque dovesse origliare e diffondere una confessione commetterebbe comunque un atto immorale. Per evitare che una cosa del genere si verifichi è necessario che un sacerdote e lo stesso penitente faccia in modo di non trovarsi uno smartphone in tasca in quel momento cosi sacro ed intimo.
Sull’argomento è stato intervistato un funzionario del Vaticano molto ferrato sull’argomento che ha spiegato come: “Ciò che rende la questione così delicata è che, durante il sacramento della Confessione, una persona è “maggiormente vulnerabile nei confronti dell’altra persona, e quindi di Cristo è il momento in cui siamo più vulnerabili. È il sigillo sacramentale a spingere i fedeli alla Confessione; nient’altro potrebbe convincere le persone a condividere parole talmente intime”.Insomma se il fedele dovesse perdere la riservatezza non andrebbe più a confessarsi e questo causerebbe un grave danno alla persona, il sacerdote deve quindi prestare attenzione anche a questo e rinunciare alla comodità dello smartphone per il bene dei suoi parrocchiani.
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