I dati allarmanti mostrano le conseguenze di una generazione cresciuta senza Dio né tantomeno alcun valore morale: un male che cresce a dismisura ed è quasi raddoppiato nell’ultimo anno.
I numeri da capogiro che arrivano direttamente dal 118, e che non riguardano solo figli “sbandati”, ma anche e soprattutto figli di famiglie “bene”.
La mancanza di senso alla propria esistenza viene da lontano, ma gioca un ruolo determinante nel dramma che tanti ragazzi vive ogni giorno. Quello della perdizione, di una vita riposta unicamente nell’alcool, nelle sostanze, nello sballo. Non ci sono centri di aggregazione giovanile con educatori e progetti, la parrocchia è stata emarginati, chiunque tentasse di portare avanti attività cristiane è stato per decenni osteggiato, denigrato, messo alla gogna. Ora si vedono i risultati.
Nelle città più grandi si vedono i ragazzi passare pomeriggi interi al parco, seduti sul muretto, a fumare, ascoltare musica, quando va bene a divertirsi con le ragazze, quando va male, talvolta, a fare risse. Soprattutto, a consumare alcol, e lo stesso accade nelle periferie o nelle province. Sono i dati a dirlo in maniera incontrovertibile. E a mostrare un problema sociale e generazionale di dimensioni enormi.
“Non si insegna più la cultura del no. E la figura del padre è in crisi totale“, spiega al Corriere lo psicoterapeuta e presidente della Fondazione “Minotauro” Matteo Lancini, specializzato nell’interpretazione dei codici affettivi e nella cura dei giovani. Le notizie di cronaca ci restituiscono un quadro costante di solitudine, dispersione, drammi. Il numero di abbandoni scolastici sono a livelli mai visti primi.
Non è però un problema di “classe sociale”, spiega lo psicologo. Non esiste più la divisione tra i giovani che provengono da contesti difficili, e che per questo commettono reati, e figli di famiglie più agiate che al massimo possono risultare vittimi degli stessi abusi. “Impostare il discorso su questa logica è sempre più sbagliato“, spiega Ciro Cascone, procuratore capo della Procura per i minorenni di Milano.
Alla base di tutto, purtroppo, c’è l’utilizzo di alcol sempre più smodato, attraverso cui i ragazzi perdono ogni freno inibitorio e commettono i peggiori abusi. A commetterli, sono spesso ragazzini “insospettabili e magari integratissimi a scuola che agiscono sotto effetto di superalcolici“. I numeri parlano chiaro. Solamente a settembre e ottobre l’impennata di interventi del 118 per intossicazione etilica nella fascia d’età tra i 13 e i 15 anni è del 92 per cento rispetto al 2019.
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Un dato, diffuso dall’Areu (Azienda regionale emergenza e urgenza) che raddoppia i soccorsi in particolare tra i quattordicenni, che si distribuisce in tutta la settimana e in modo particolare il week end. “Il consumo è diventato abituale, trasversale e sempre più precoce, catalizzatore di espressioni di aggressività che non trovano spazio in altro luogo”, ha tristemente spiegato Riccardo Gatti, direttore del dipartimento dipendenze all’Asst Santi Paolo e Carlo.
Insomma, la situazione è drammatica. Dopo anni però passati a insegnare ai ragazzi che tutto è loro concesso, a partire dai media, dalla televisioni, dal fatto che nel loro immaginario i modelli di successo sono ad esempio rapper che spacciando e ubriacandosi fanno successo e finiscono ai vertici della società, imprenditori, manager, uomini di spettacolo, c’è persino chi punta alla politica.
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Se è questo il modello che abbiamo dato loro, non stupiamoci delle conseguenze. Domandiamoci, piuttosto, se non sia già troppo tardi per tentare di rimediare.
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