Il Beato Antonio Rosmini mise tutta la sua straordinaria intelligenza, nutrita di preghiera, al servizio della carità e della verità.
Soffrì molto, nel corpo e nello spirito, per la malattia e per le tante incomprensioni che dovette affrontare fino alla fine della vita.
Antonio Rosmini nasce a Rovereto (Trento) da una delle storiche famiglie nobili della città. Viene al mondo il 24 marzo 1797. Dopo gli studi di diritto e teologia a Padova diventa sacerdote nel 1821 a Chioggia.
Dopo l’ordinazione sacerdotale passa un periodo di raccoglimento e riflessione nella sua città natale, a Rovereto. Col tempo, arriva a maturare un’importante decisione: quella di attendere alla purificazione dell’anima dal male e di acquisire la carità di Dio e del prossimo.
Nel 1826 si trasferisce a Milano. Nella città di Sant’Ambrogio fa la conoscenza di un sacerdote tedesco di nome don Giovanni Battista Loewenbruck, intenzionato a fondare una società di sacerdoti. Don Antonio capisce che è arrivato il momento di realizzare quanto meditava da tempo.
Fonda così a Domodossola, sul monte Calvario, l’“Istituto della Carità”. Fine del nuovo Istituto è professare la carità universale, cioè la carità spirituale, intellettuale e corporale, per il bene del prossimo.
Nel 1834 viene nominato parroco a Rovereto. Nella città della quercia istituisce l’oratorio per i ragazzi e per gli adulti, si reca in visita a scuole e ospedali. Malgrado il mal di stomaco che lo affligge da diverso tempo, passa ore in confessionale e celebra con grande cura i sacramenti.
Nel frattempo prosegue la sua opera di scrittore. In tal senso lo aveva esortato papa Pio VIII, lo stesso che aveva approvato il progetto dell’Istituto. Allo stesso tempo aveva incoraggiato don Antonio a dedicarsi alla scrittura, «per prendere gli uomini con la ragione e per mezzo di questa condurli alla religione».
Rosmini cerca di conciliare il pensiero tradizionale con la parte migliore del pensiero moderno. Già dal 1832 aveva cominciato a scrivere il volume Delle cinque piaghe della Santa Chiesa per mettere in guardia contro i pericoli che, a suo dire, attentavano all’unità e alla libertà della Chiesa.
Ma lo sforzo di Rosmini incontrerà notevoli resistenze e ostilità, sia tra i cattolici che tra gli anticlericali. A difenderlo ci sarà lo scrittore Alessandro Manzoni, che aveva fatto la sua conoscenza nel 1826 e lo aveva definito «una delle cinque o sei più grandi intelligenze, che l’umanità aveva prodotto a distanza di secoli».
Rosmini si ritira allora a Stresa dove trascorre i suoi ultimi suoi anni di vita. Dopo che a lungo i suoi scritti erano stati addirittura condannati, la loro ortodossia sarà riconosciuta. Alla seduta finale che porterà al decreto Dimittantur del 1854 partecipa anche papa Pio IX. Il pontefice esclama, dopo la sentenza definitiva di assoluzione: «Sia lodato Iddio, che manda di quando in quando di questi uomini per il bene della Chiesa».
Di lì a poco però la malattia al fegato che lo aveva perseguitato per tutta la vita avrà ragione di lui. Don Antonio Rosmini muore il 1° luglio 1855 a 58 anni. Ad Alessandro Manzoni, accorso al suo capezzale benché malato, lascia un testamento spirituale di tre parole: «Adorare, tacere, godere».
Dopo un ulteriore esame delle sue ultime opere si apre per lui la causa di beatificazione, conclusa il 18 novembre 2007, quando Antonio Rosmini viene beatificato a Novara, durante il pontificato di papa Benedetto XVI.
Papa Francesco nel 2014 lo ha indicato come un esempio della creatività dei Santi, ispirata da Dio. Papa Bergoglio ha definito il Beato Rosmini «un critico creativo, perché pregava». Antonio Rosmini, ha detto Francesco, «ha scritto ciò che lo Spirito gli ha fatto sentire, per questo è andato nel carcere spirituale, cioè a casa sua: non poteva parlare, non poteva insegnare, non poteva scrivere, i suoi libri erano all’indice. Oggi è Beato! Tante volte la creatività ti porta alla croce».
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