Giovane sacerdote innamorato dell’Eucarestia e del Crocifisso, spenderà ogni fibra del suo essere per il gregge che gli era stato affidato.
«Non ho mai chiesto di poter diventare vecchio, ma solo che gli uomini tornino ad amare Dio e che i sacerdoti si santifichino». In queste parole c’è tutto il programma di vita di Edoardo Poppe, giovane sacerdote morto ad appena 34 anni il 10 giugno 1924.
È significativo che quest’anno la sua festa cada il giorno prima della Solennità del Corpus Domini visto che Edoardo Poppe, nato in Belgio nel 1890, promosse iniziative come quella della «Crociata eucaristica».
Durante il primo conflitto mondiale, nel 1916, Edoardo Poppe è vice parroco a Gand, in una parrocchia piena di comunisti. Devoto di San Luigi Grignion de Montfort e di Teresa di Lisieux, all’epoca nemmeno beata, dal primo riceve un grande amore per la Madonna e dalla seconda l’amore per la “piccola via” e lo stupore per la sua offerta incondizionata all’amore misericordioso.
Da padre Chevrier apprende invece l’amore per i poveri e gli umili. A Gand il suo stile diretto, fresco e cordiale lo porta a occuparsi della povertà materiale dei parrocchiani. Ma oltre a questo flagello si accorge che la miseria peggiore è quella di natura spirituale e che la fame più feroce è quella saziabile soltanto con l’Eucarestia.
Promotore della Crociata Eucaristica
Inizia dai bambini delle famiglie atee o indifferenti, che prepara alla prima Comunione. Cagionevole di salute, non lesina impegno e energia nell’adempimento dei suoi doveri di pastore. Nel suo diario scrive: «Amare Cristo senza soffrire vuol dire amarlo per giuoco».
Forse chiede troppo al suo debole fisico: un primo infarto a maggio 1919 lo riduce in fin di vita. Allo stremo delle forze, lo trasferiscono Moersette, dove si dedica alla «Crociata eucaristica» lanciata dai Norbertini di Averbode, pubblicando opuscoli e articoli.
Nel 1922 padre Poppe viene nominato direttore spirituale del Centro d’istruzione dei brancardiers, vale a dire dei barellai e degli infermieri del Belgio. Diventa anche direttore spirituale delle conferenze pedagogiche, scrivendo per loro manuali e trattati.
Il Crocifisso come modello
Una volta qualcuno gli chiese una fotografia per ricordo. Lui, dopo aver risposto di non averne, indicò un Crocifisso e disse: «Vorrei somigliare a Lui, e che quello fosse il mio ritratto».
Alla fine la sollecitudine apostolica e il lavoro spirituale piegheranno il suo fisico. Ha soltanto 34 anni quando si alletta. Muore giovane, il 10 giugno 1924. Metà del suo sacerdozio lo ha passato a letto o seduto in poltrona. Malgrado questo è il prete più amato e noto delle Fiandre, capace di incantare i più piccoli senza fare sconti e invitando a puntare in alto, alla perfezione cristiana. «Siamo viaggiatori – diceva loro – ed è follia voler cercare quaggiù dimora e riposo».
Alle suore che gli prestano assistenza, forse rimproverandogli tacitamente l’eccessivo carico di lavoro, disse, come se avesse letto nel loro pensiero: «Voi pensate che la colpa sia mia, e che mi sia ucciso con il troppo lavoro. Può darsi, ma non ho mai rimpianto, né rimpiango, i miei eccessi di lavoro. Se guarissi, lavorerei anche di più. A morire per amare gli altri, mi ha insegnato Lui».
La santità come programma di vita
E ancora rivolgeva il suo sguardo al Crocifisso, al quale avrebbe voluto somigliare in morte come gli aveva somigliato in vita. «Ci si lamenta che ci sono troppo pochi sacerdoti», disse una volta. «Non è giusto. La verità è che vi sono troppo pochi sacerdoti santi. Se con i nostri sacrifici ottenessimo anche un solo sacerdote santo ogni anno, in poco tempo il mondo intero sarebbe santificato».
Don Edoardo Poppe si sacrificò senza dubbio per la santificazione dei sacerdoti, in primo luogo per la propria. Lo riconoscerà la Chiesa beatificandolo, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, il 3 ottobre 1999.