Nei tormentanti anni dopo l’unificazione italiana, suor Agostina servì Dio facendo dono della sua vita ai malati.
Alle sue consorelle diceva: «Non dobbiamo trascurare il nostro dovere di carità per sfuggire il pericolo, dovesse pure costarci la vita. Dobbiamo aspettarci tutto. Gesù fu trattato così».
Sant’Agostina Pietrantoni nasce il 27 marzo 1864 a Pozzaglia Sabina, un piccolo paese montano in provincia di Rieti. Cresce negli anni che seguono la tormentata vicenda dell’unificazione italiana, coi pubblici poteri radicalmente ostili alla religione cattolica.
Venuta al mondo in una famiglia numerosa (seconda di undici figli), i genitori, due umili contadini, la battezzano col nome di Livia. Papà e mamma, oltre alla vita, le trasmettono anche una fede vigorosa e ardente. In famiglia si prega spesso e tutti badano a fare del bene. Cresce aiutando nel lavoro dei campi i genitori, decidendo poi di entrare nelle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret. La Regola delle Suore si basa su un comandamento: «Tu amerai».
Quando prende i voti assume il nome di Agostina. La sua opera caritatevole si svolge all’Ospedale Santo Spirito. Un paio di anni dopo l’arrivo di suor Agostina, a prendere le redini dello storico ospedale – dove aveva prestato servizio giganti di santità come San Filippo Neri, San Carlo Borromeo, San Giovanni Bosco – è Achille Ballori, futuro gran maestro della massoneria. Il massone Ballori impone una svolta anticattolica: caccia i religiosi che assicuravano l’assistenza spirituale, fa rimuovere crocifissi e immagini sacre, proibisce alle suore di pregare in pubblico e di parlare di Dio ai malati.
Ma suor Agostina riesce a trovare un posto alla Madonna in un angoletto nascosto dell’ospedale (uno sgabuzzino). Lì colloca un’immagine della Vergine alla quale ogni giorno offre i fiori e scrive bigliettini per chiedere la conversione del direttore.
Spesso viene insultata e offesa, senza mai che la sua generosità verso gli ammalati venga meno. Un medico ricorda come la futura santa non si limitasse certo allo stretto indispensabile, ma facesse molto più del suo dovere, sempre dolcissima, pronta, umile e gioiosa.
Contrae una malattia infettiva in ospedale e dopo la guarigione la assegnano all’assistenza ai malati di tubercolosi, un incarico non facile. Quando un infermo al quale sequestra un coltello la bastona le sue consorelle si preoccupano. Ma suor Agostina la rassicura con queste parole: «Non dobbiamo trascurare il nostro dovere di carità per sfuggire il pericolo, dovesse pure costarci la vita. Dobbiamo aspettarci tutto. Gesù fu trattato così».
Continua a dedicarsi ai tubercolotici anche quando lei stessa viene contagiata dal morbo. Ha solo 30 anni quando Giuseppe Romanelli, un pregiudicato espulso dall’ospedale per le sue continue bravate, medita vendetta e comincia a minacciarla di morte senza un motivo: «Ti ucciderò con le mie mani!», «Suor Agostina, non hai più che un mese da vivere!», le scrive minaccioso su dei biglietti.
Non sono parole al vento: Romanelli passa all’azione la mattina del 13 novembre 1894 e la accoltella senza lasciarle scampo. Dalla bocca della suora moribonda escono solo parole di perdono e invocazioni alla Vergine Maria.
Al funerale di suor Agostina si raduna una folla sterminata: è la gente del popolo venuta a dare l’ultimo saluto all’angelo della misericordia che aveva sacrificato ogni palpito della sua esistenza per alleviare le sofferenze dei miseri.
Beatificata da papa Paolo VI il 12 novembre 1972, a canonizzarla sarà Giovanni Paolo II il 18 aprile 1999.
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