«L’odio non è una forza creativa: lo è solo l’amore». Una frase che dice tutto di Massimiliano Maria Kolbe, che mostrò la carità suprema nel carnaio di Auschwitz.
Consacrò la sua intera esistenza all’Immacolata, una vita di dono totale di sé suggellata dalla straordinaria testimonianza data nel Lager nazista, là dove l’umanità toccò uno dei punti più bassi.
Raimondo Kolbe nasce nel 1894 in Polonia nella cittadina di Zdunska-Wola, nel centro industriale di Lodz. Nel 1910 diventa novizio dei frati francescani conventuali e assume il nome religioso di Massimiliano, al quale aggiungerà quello di Maria in occasione della professione solenne, avvenuta nel 1914.
Prosegue gli studi di teologia a Roma all’Università Gregoriana. Nella città eterna diventa anche sacerdote. Nel 1917 fonda con alcuni colleghi un movimento mariano al servizio della Chiesa e del mondo: la chiamerà la Milizia dell’Immacolata.
Due anni dopo ritorna in Polonia e va a insegnare filosofia e storia della Chiesa nel convento di Cracovia. Malgrado la sua salute cagionevole (dal 1921 vive con un solo polmone) e l’incomprensione di chi lo circonda, continua a diffondere la Milizia dell’Immacolata.
Nasce la Città dell’Immacolata
Teologo, mistico e apostolo, Massimiliano Kolbe trova il centro della esistenza nel culto dell’Immacolata, che si rende concreto nel dono di integrale sé. Nel 1927, fonda a a Niepokalanów, a poca distanza da Varsavia, la Città dell’Immacolata.
I cittadini di questa singolare città, tutti frati, vivono in totale povertà e si danno all’apostolato tramite la stampa. I religiosi si rendono protagonisti di un sorprendente boom editoriale quando il «Cavaliere dell’Immacolata», la rivista della Milizia dell’Immacolata, arriva fino a 50 mila copie e successivamente si afferma come settimanale da 750 mila copie (con un picco di 1 milione di copie nel 1938).
Padre Kolbe va anche in missione in Giappone, dove fonda una seconda Città dell’Immacolata (a Nagasaki) prima di fare ritorno in patria. Nel frattempo scoppia la Seconda Guerra mondiale. Deportato dai nazisti prima a Lamsdorf, in Germania, successivamente nel campo di concentramento di Amlitz, viene rilasciato l’8 dicembre 1939. Il francescano può tornare così a Niepokalanéw dove riprende l’attività forzatamente interrotta.
Kolbe: quando la legge della carità sovverte la legge di morte del Lager
Il Reich lo arresta ancora nel 1941. Rinchiuso nel carcere di Pawiak a Varsavia, il 29 maggio di quello stesso anno lo spediscono ad Auschwitz. Bastonato e umiliato a più riprese, nel campo dell’orrore Kolbe mostra a tutti, in primis ai nazisti, quale sia la legge della carità più alta. È qui infatti che si offre al posto di un padre di famiglia, condannato per le legge della rappresaglia (un prigioniero era fuggito) a morire di fame nel cosiddetto bunker della fame nel Blocco 13.
Lo scambio proposto da Kolbe viene accettato e viene rinchiuso nel bunker. Dopo due settimane il frate è ancora vivo. Malgrado gli stenti, trasforma la sua cella in un cenacolo di preghiera, continuando a cantare e a innalzare inni all’Immacolata. Impressionate dalla calma di San Massimiliano, le SS di guardia lo uccidono con un’iniezione di acido fenico in modo da sgomberare la cella, destinata ad ospitare altre vittime della barbarie nazista.
La creatività dell’amore
Muore per ultimo, il 14 agosto, vigilia della festa dell’Assunta, dopo aver confortato i suoi compagni. Giovanni Paolo II, il suo grande connazionale, lo ha canonizzato nel 1982.
Nel 2008 Papa Benedetto XVI ha ricordato così la grande testimonianza di padre Kolbe: «A san Massimiliano Kolbe vengono attribuite le seguenti parole che egli avrebbe pronunciato nel pieno furore della persecuzione nazista: “L’odio non è una forza creativa: lo è solo l’amore”. E dell’amore fu eroica prova la generosa offerta che egli fece di sé in cambio di un suo compagno di prigionia, offerta culminata nella morte nel bunker della fame, il 14 agosto del 1941».