Questa giovane focolarina morta a soli 23 anni dopo una esistenza intera segnata dalla sofferenza e dalla malattia ha testimoniato fino all’ultimo l’amore per Dio e per la vita.
Prenderà coraggiosamente le parti dei più deboli proclamando la bellezza del dono della vita di ogni creatura, minacciata dai promotori dell’eutanasia.
Daniela Zanetta nasce il 15 dicembre 1962 a Maggiora, in provincia di Novara. La sofferenza e il dolore la accompagnano fin dalla nascita. Deve infatti convivere con l’epidermolisi bollosa distrofica: una malformazione ereditaria dell’epidermide che causa bolle e lacerazioni alla pelle in tutto il corpo. Non ci sono possibilità di guarire dalla malattia: per Daniela l’unica cura consiste nel sottoporsi tutti i giorni a tre ore di medicazioni delicate e dolorose.
Malgrado le sofferenze, aiutata e spronata dall’amore dei genitori Daniela ama la vita e le sue bellezze. A scuola ottiene ottimi risultati e riesce a conseguire il diploma magistrale. Daniela non usa mai la malattia come scudo. Alle elementari gioca con le compagne e rifiuta ogni tipo di agevolazione.
Il valore della sofferenza e della preghiera
Si dimostra particolarmente attenta ai bimbi malati incontrati negli ospedali dove passerà lunghi periodi della sua breve esistenza. Soffre anche di un’anemia che la costringe a improvvisi ricoveri in ospedale e a trasfusioni di sangue.
Nel 1973 incontra e aderisce alla spiritualità del Movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich. Un incontro che la rafforza nel suo cammino. Daniela sente particolarmente sue queste parole del Vangelo: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). L’ultimo intervento infatti la costringe a restare in casa dove può dedicarsi interamente a Dio e alla preghiera.
Scrive queste parole: «Tu, Padre, mi hai affidato questo compito, questa croce, un sigillo impresso nella mia carne fin dal mio primo vagito, come se Tu volessi essere sicuro di non smarrirmi […]. Non sempre ho gradito questa tua attenzione nei miei riguardi; quante volte ho desiderato mescolarmi con la folla, essere una fra tante; ma Tu, vigile, mi richiamavi a Te, geloso, mi volevi. Io non capivo il Tuo amore perché per me significava dolore, per me erano ore di medicazione, tante rinunce, tanta amarezza; non comprendevo, non volevo. Poi tra le lacrime ti ho detto si! Ti ho ricevuto per la prima volta nel cuore, Ti ho parlato: no, sei stato Tu a parlare e da quel momento Ti ho offerto il mio corpo malato, piagato, sfigurato. Ora sono tua e nonostante le cadute, le sbandate, non mi mischierò più alla folla, ma rimarrò ferma al centro del tuo amore».
La lettera contro l’eutanasia dei malati
Malgrado le sofferenze è partecipe degli avvenimenti del mondo: si rattrista molto quando apprende di guerre o di attacchi alla vita umana.
Così non esita a prendere carta e penna nel novembre 1984 per scrivere un’accorata lettera, pubblicata su «Famiglia Cristiana», in risposta a convegno medico pro-eutanasia, testimoniando col proprio esempio il valore sacro della vita umana, da difendere a ogni prezzo.
Nella lettera scrive così: «Ho appena terminato di leggere Le tifose della bella morte, pubblicato su «Famiglia Cristiana» n. 40. Mentre leggevo mi si accapponava la pelle per l’indignazione e il disgusto, ma soprattutto provavo pietà per quelle povere persone sostenitrici della eutanasia. Mi sono stupita profondamente nel leggere che al Convegno erano presenti soprattutto donne anziane, che hanno sperimentato la bellezza della vita ed ora vogliono disfarsene come se fosse qualcosa di troppo.
Io vorrei urlare a tutti che la vita di ogni creatura è sacra e bella. Sono una ragazza di ventidue anni, nata handicappata. Ho una malattia della pelle (epidermolisi bollosa distrofica), che mi procura piaghe in tutto il corpo, ho perso i capelli, le unghie di mani e piedi, le mie dita sono chiuse a pugno, ho dovuto farmi estrarre tutti i denti e da sei mesi mi sottopongo, quattro volte al giorno a dialisi peritoneale. Dopo questa descrizione, posso apparire un mostro, ma non lo sono, o almeno io non mi sento tale. Non è semplice trascorrere ventidue anni sulla croce, ma credo in Dio, lo amo intensamente e lo ringrazio per avermi donato la vita, perché ogni giorno che mi regala é un’occasione in più che ho per amarLo e servirLo.
Ho voluto far conoscere la mia esperienza perché quei “luminari” che sostengono l’eutanasia capiscano che non hanno alcun diritto sulla vita altrui. Ogni vita che sboccia è un dono divino e, se questa vita è segnata in modo particolare dal dolore, rappresenta un doppio dono, perché la sofferenza ci matura, ci permette un dialogo profondo con Dio, ci aiuta a espiare molti peccati e a tamponare le scempiaggini dei folli».
L’ultimo ringraziamento prima di morire
A cominciare dal 26 ottobre 1983 Daniela aveva cominciato a tenere un diario dove quotidianamente scriveva una lettera a Gesù per confidargli il suo doloroso cammino verso la santità.
Le sue condizioni cominciano ad aggravarsi nel febbraio 1986. Nasce al cielo il 13 aprile 1986. Dopo aver ricevuto l’Eucarestia, prima di entrare in coma pronuncia, con l’ultimo soffio di voce che le rimane, queste ultime parole: «Grazie, grazie di tutto».