Padre Damiano è conosciuto come l’«apostolo dei lebbrosi». Col dono totale di sé, mostrò al mondo la bellezza dell’amore cristiano.
Anche non cristiani riconobbero la grandezza della sua testimonianza e si ispireranno al suo esempio.
Padre Damiano, l’apostolo dei lebbrosi, al secolo si chiamava Joseph de Veuster. Nato nel Belgio fiammingo nel 1840, è il penultimo degli otto figli di una famiglia contadina. A diciannove anni segue le orme del fratello Augusto. Entra nella congregazione dei padri dei Sacri Cuori (meglio conosciuta col nome di Picpus) dove prende il nome di Damiano.
Ha appena iniziato il secondo anno di teologia quando prende il posto del fratello, destinato alle missioni nelle nelle Hawaii che però non può partire perché ammalatosi. Così Damiano chiede e ottiene di prendere il suo posto. Nel marzo 1864 approda a Honolulu dove riceve l’ordinazione sacerdotale. Qui si vede affidare un ampio territorio con soltanto 2.000 abitanti. Il giovane sacerdote non si perde d’animo: impara la lingua locale, condivide con gli indigeni il misero cibo, dorme come loro su un pagliericcio.
Il regno indigeno delle Hawaii sta attraversando un momento di crisi sanitaria. Marinai e commercianti stranieri avevano importato anche malattie a cui la popolazione locale non era in grado di far fronte. Tra queste la lebbra, all’epoca ancora incurabile, che aveva provocato migliaia di morti durante un’epidemia. Il re prende una decisione drastica: confinare i lebbrosi sull’isola lazzaretto di Molokai.
Padre Damiano si offre volontario per andare con loro. Andare sull’isola equivale praticamente a condannarsi a morte certa. Ma lui chiede al vescovo di installarsi nella colonia di Kalaupapa, insieme a circa 600 lebbrosi deportati, «per vivere e morire con loro». Il l 10 maggio 1873 mette piede sull’isola, dove ad attenderlo trova una realtà terrificante.
Nell’isola di Molokai non esiste legge: donne e bambini sono costretti a prostituirsi, i malati abbandonati a sé stessi in una specie di ospedale (dove i medici a loro volta sono lebbrosi), i morti non ricevono sepoltura. Non a caso è chiamata la «Colonia di morte». In questo luogo dimenticato da tutti, ma non da Dio, Damiano si improvvisa infermiere e medico, dotando anche la comunità di leggi per regolare la vita comune. La sua comunione coi lebbrosi è tale da fargli iniziare le omelie con le parole: «Noi altri lebbrosi».
Costruisce una chiesa stabilendovi la parrocchia di santa Filomena. Passa per i villaggi battezzando e promuovendo il culto al Santissimo Sacramento del quale dice: «Senza la presenza costante del nostro Divino Maestro nella mia povera cappella, io non avrei mai potuto perseverare, condividendo la mia sorte con quella dei lebbrosi di Molokai».
Una frase che contiene in sé una implicita risposta a quanto scriverà di lui Gandhi, lasciandosi ispirare dalla vita e dal lavoro del missionario belga per le sue campagne sociali in India: «La politica e il mondo giornalistico possono vantare eroi, ma pochi possono essere paragonati a Padre Damiano di Molokai. Vale la pena dare un’occhiata alle fonti di tale eroismo».
Abbeverato alla fonte dell’Eucarestia, padre Damiano restituisce ai lebbrosi il senso della propria dignità: li aiuta a organizzarsi, a costruire abitazioni dignitose, scuole, fattorie, letti per i malati. Insegna loro anche come coltivare la terra.
A questi livelli, ha notato lo scrittore Gustave Thibon, il linguaggio della bontà sfocia spontaneamente in quello della bellezza. Ecco perché, scrive Thibon, «la vita di Padre Damiano non tocca soltanto il nostro cuore ma sommuove nelle profondità le nostre facoltà contemplative, e dilata l’amore fino al cielo immobile della bellezza. Dopo aver riscaldato nel tempo terrestre, risplende nell’eterno».
Nel dicembre 1884 la tremenda malattia finisce effettivamente per colpire anche lui, segnandone il corpo in maniera sempre più evidente. Malgrado il contagio continua a lavorare. Muore a 49 anni il 15 aprile 1889, sedici dei quali passati coi lebbrosi. Ai suoi funerali prende parte una folla straordinaria di lebbrosi, che si stringono attorno al sacerdote che aveva offerto la sua vita per assisterli. Aveva detto infatti: «Sono felice e contento. E, se mi dessero l’opportunità di guarire andandomene da qui, risponderei senza esitazione: Resto con i miei lebbrosi tutta la mia vita!».
Dopo la morte sarà attaccato da un pastore protestante, un certo Charles Hyde, con una lettera rilanciata dalla stampa internazionale. In sua difesa accorrerà il famoso romanziere Robert Louis Stevenson, autore de L’isola del tesoro e del racconto intitolato Il Dottor Jekyll e Mister Hyde.
Papa Giovanni Paolo II lo beatificherà a Bruxelles nel 1995, mentre a canonizzarlo sarà Benedetto XVI l’11 ottobre 2009.
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