Uomo di scienza e di preghiera, il dottissimo San Bonaventura fu capace di realizzare una cosa assai preziosa per San Francesco d’Assisi.
Fu maestro di carità e sapienza, ha testimoniato con la sua vita come si possano coniugare fede e ragione sotto il segno dell’amore di Dio.
Bonaventura nasce a Bagnorea (oggi Bagnoregio) presso Viterbo tra il 1217 e il 1221. Già da giovanissimo rivela un’intelligenza fuori dal comune e per completare gli studi si reca in quella che nel Medioevo era la capitale intellettuale d’Europa, cioè Parigi.
Entra nell’Ordine francescano attirato, lui uomo di ingegno e di cultura, dalla freschezza e dalla semplicità dei figli di San Francesco. Nella vicenda dell’Ordine rivede quella della Chiesa, iniziata con uomini semplici (contadini e pescatori) per attirare, successivamente, anche uomini di scienza.
Rientrato a Parigi per studiare teologia, ottiene lì la cattedra proprio in teologia. Ma deve lasciarla tre anni dopo perché nel frattempo -è appena trentaseienne – è stato eletto generale dei frati minori.
Il frate che coniugava cultura e umiltà
Bonaventura è al tempo stesso il francescano più colto e umile. Grande per la dottrina ma anche per l’obbedienza, maestro di scienza ma anche maestro di vita. Nel 1260 l’Ordine gli affida un incarico di fondamentale importanza: scrivere la biografia ufficiale di San Francesco: la cosiddetta Legenda maior, poi illustrata da Giotto sulle pareti della chiesa superiore di San Francesco, ad Assisi, e che è considerata la più attendibile tra le vite del Santo di Assisi.
Anche senza aver conosciuto personalmente San Francesco, Bonaventura ne porta avanti lo spirito, incarnandolo nelle circostanze nuove del tempo. La nuova generazione di frati sentiva infatti impellente la necessità di rivolgersi anche agli ambienti più intellettuali (a cominciare dalle Università) e non soltanto a quelli popolari, come era avvenuto inizialmente.
Il pericolo, naturalmente, era quello di insuperbirsi smarrendo l’umiltà e la semplicità così caratteristici dei frati minori. La Provvidenza volle che a vigilare su questi sviluppi ci fosse proprio lui, Bonaventura, testimone credibile in cui convivevano, in un prodigioso equilibrio, sapienza e umiltà.
Devoto alla Vergine, esalta l’umiltà dei semplici
Grande devoto della Madonna, Bonaventura seppe coniugare scienza e semplicità, intelletto e preghiera. Col suo esempio di vita rappresentò la migliore smentita a chi poteva temere che la cultura fosse, in sé, corruttrice per uno spirito di preghiera e di povertà.
A chi, tra i frati, covava simili timori Bonaventura rispose che una vecchierella ignorante può amare Dio anche più di un maestro di teologia. Al fondo della dottrina di San Bonaventura si trova la carità. Sulla Verna, il monte dove San Francesco aveva ricevuto le stimmate, scriverà il suo libro più conosciuto: Itinerario della mente in Dio.
Qui afferma che l’intelligenza è simile alle ali del Serafino apparso proprio lì, alla Verna, a San Francesco. Ali splendenti e infuocate: splendenti perché infuocate. L’intelligenza del cristiano deve essere accesa del fuoco della carità. Questo non per eccellere o valere di più degli altri, ma per comprendere e amare ancor più in profondità le verità scoperte dalla mente infuocata nella sua ascesa verso quella verità eterna che altro non che è Dio, amore infinito e carità assoluta.