Il sovrano ungherese può vantare un primato nella storia della Chiesa che nessuno potrà mai levargli.
Stefano d’Ungheria fu un grande Re che mostrò come armonizzare due corone come quella della santità e quella della regalità.
Il Santo celebrato oggi, Stefano d’Ungheria, non fu solo un grande testimone della fede ma anche simbolo e artefice dell’indipendenza del suo popolo. Fu in grado infatti di trasformare in una nazione un ammasso di tribù nomadi (39 contee) stanziatesi sotto la guida di re Arpàd in Pannonia, nella fertile pianura del Danubio, in mezzo a popolazioni slave.
Figlio del duca Geza, pagano ma ben disposto verso il cristianesimo, e di una principessa cristiana, venne battezzato forse a Colonia nel 996. Fu col battesimo che mutò il suo nome originario, Wajk, in quello di Stefano. Di lì a poco prese in moglie Gisella di Baviera, sorella del futuro imperatore Enrico II.
Evangelizzatore del popolo magiaro
Per rendere coeso e unito il suo popolo, Stefano fece leva sulla morale e sulla religione. Sarà lui il principale fautore della conversione al Cristianesimo dei nomadi magiari, ottenendo dal papa e dall’imperatore il permesso di assumere il titolo di re. E nel 1001, con l’approvazione di Ottone III e di papa Silvestro II, darà vita anche a un arcivescovato.
Successivamente il legato pontificio lo incoronerà col titolo di «re apostolico». Un appellativo che Stefano mostrerà coi fatti meritarsi appieno. Grazie ai vasti poteri che gli aveva concesso il Papa riuscì a costituire molti vescovati e a fondare numerosi monasteri (tra questi il più noto è quello di San Martino di Pannonhalma) affidandoli ai monaci cluniacensi, da lui fatti appositamente venire dalla Francia. I monasteri voluti da Stefano si riveleranno fondamentali centri di irradiazione missionaria, e grazie alla loro azione l’intera popolazione ungherese finì per aderire alla fede cristiana.
Saggezza e virtù da grande Re
Re saggio, amministratore prudente, legislatore giusto. Tutte doti che Stefano corroborò con la sua granitica fedeltà al vangelo, con una robusta pietà e una vita caratterizzata da integrità e santità.
Fu abile anche a circondarsi di un’aristocrazia a lui fedele grazie a una politica di distribuzione dei beni fondiari che gli permise di resistere alla rinnovata voglia di autonomia da parte dell’antica nobiltà ungherese. Suddivise poi il suo regno in dieci diocesi e trentanove diaconie (corrispondenti alle trentanove contee).
Oltre che col cognato Enrico II, si mantenne in ottimi rapporti anche con l’Oriente: con l’imperatore Basilio II, col quale nel 1002 strinse alleanza contro Samuele di Bulgaria. Invece nel 1004 accorse in aiuto dei bizantini impegnati nella conquista di Skopje.
La morte di un Santo Re e il suo imbattibile primato
Il periodo finale del regno di Stefano fu amareggiato dalla prematura perdita del figlio, erede al trono designato, e dall’asprezza delle lotte di successione.. Quando Stefano morì, nel 1038, la moglie Gisella lasciò la reggia per ritirarsi nel monastero benedettino di Passau.
Santo Stefano fu il primo Re canonizzato dalla Chiesa: da Gregorio VII nel 1083. In patria ancora oggi è considerato il fondatore dello stato ungherese e viene venerato quale patrono della nazione.