Gesuita del XVII secolo, san Giovanni de Brebeuf fu un missionario andato ad enagelizzare il nord America. Gli indigeni lo torturarono e uccisero brutalmente bruciandogli il cuore.

Oggi, 16 marzo, si ricorda san Giovanni de Brebeuf, sacerdote gesuita del Seicento che andò nelle terre del nord America per evangelizzare e morì martire in Canada, dopo aver subito numerose torture.
Nacque il 25 marzo 1593 in una ricca e nobile della Normandia, a Condé-sur-Vire, nella diocesi di Bayeu . Nel 1617, all’età di 24 anni, entrò nel noviziato dei Gesuiti a Rouen, dove 5 anni più tardi fu ordinato sacerdote. Nel 1625 partì con un gruppo di preti gesuiti per il Canada, raggiungendo il Québec.
Nei primi tempi visse con gli indiani Algonchini, dai quali apprese la lingua e le usanze. Poi, neel 1626 si trasferì nel territorio degli Uroni, in Canada, dove visse 3 anni. Stava in completa solitudine, dal momento che era quasi impossibile riuscire a comunicare con questo popolo.
Santo di oggi 16 marzo: San Giovanni de Brebeuf
Nel corso della sua missione in questa difficilissima terra san Giovanni de Berebeuf si fece notare per la sua grande generosità. Per cinque mesi accompagnò gli Indiani Algonchini, attraverso le foreste nevose di quell’inverno. Anche se in quel periodo non si verificarono conversioni riuscì ad integrarsi un po’ con la popolazione apprendendo la loro lingua e ricevendo la loro stima.
Riuscì ad apprendere così bene il loro linguaggio tanto da scrivere un Catechismo in quella lingua. Quando per motivi politici e coloniali, la città di Québec e la colonia francese passarono agli inglesi i missionari cattolici, dovettero lasciare il Canada e ritornare in Francia.
Così san Giovanni per un periodo ritornò in Francia. Ma poi nel 1632 quando il suo Paese riebbe il Canada, ritornò fra gli Uroni e riprese la sua missione.
Le torture più brutali e una morte dolorosa
Durante una terribile epidemia lui ed altri sacerdoti gesuiti si presero cura dei malati, nonostante gli stregoni gli si opponessero e gli dimostrassero molta ostilità poiché li ritenevano responsabili dell’epidemia.
Lui riusciva a sopportare tutto con grandissima pazienza e manteneva sempre il sorriso sulle labbra, anche di fronte agli insulti, alle offese, e poi alla persecuzione che diventò anche fisica. Subì atroci torture da parte degli Uroni istigati dagli stregoni.
La sua opera produsse comunque molte conversioni, tanto che alla sua morte si contavano oltre 7 mila persone convertite tra gli Uroni. Il 16 marzo 1649 la sua missione fu assalita dagli Irochesi e per lui arrivò una morte molto dolorosa.
Gli vennero strappate le unghie, fu legato ad un palo, lo suppliziarono legandogli delle scuri incandescenti al collo. Aveva il petto e il dorso bruciati, gli posero anche una cintura realizzata di corteccia coperta di pece e resina infuocate. Questa gli cingeva i fianchi torturandolo atrocemente.
A questi supplizi si aggiunsero le aste arroventate che lo trafissero e gli bruciarono le carni i cui brandelli i torturatori mangiarono davanti a lui. La sua reazione a questo dolore smisurato sconvolgeva i carnefici. San Giovanni de Brebeuf lodava Dio. Lo fece anche quando gli strapparono la lingua rompedogli a pugni le mascelle e gli inserirono dei tizzoni ardenti.
L’ultimo atto, che lo uccise, fu che gli strapparono il cuore dopo avergli aperto il petto. Dai suoi scritti si comprende come lui fosse preparato anche ad una tale morte e affrontasse anche una sorte così dolorosa per amore di Dio.
Scirveva infatti: “O Signore, se Voi foste conosciuto! Se almeno gli indios si convertissero a Voi e il peccato fosse abolito per sempre! Se almeno Voi foste amato! Sì, amato Signore; se tutte le torture che i prigionieri in questa terra hanno sopportato, se tutta l’inflessibile intensità delle loro sofferenze dovessero essere il mio destino, io mi offrirei a Voi per questo, con tutto il mio cuore“.
Insieme ad altri 8 martiri canadesi fu canonizzato da papa Pio XI nel 1930. Con loro condivide la memoria liturgica del 19 ottobre, ma lo si ricorda anche nella giornata di oggi, il suo dies natalis.
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