La tenerezza e la dolcezza negli amori e negli affetti caratterizzarono tutta la vita di questa santa che perderà presto l’amato marito e i parenti l’allontaneranno dai suoi figli.
Malgrado la terribile sofferenza, consacrerà il resto della sua breve esistenza al servizio degli ultimi: malati, poveri, lebbrosi.
Elisabetta, figlia del re Andrea II d’Ungheria e di Gertrude, nobildonna di Merano, nasce nel 1207. Per volere del padre si sposa giovanissima con Ludovico IV, duca di Turingia. Malgrado ciò, il matrimonio sarà felice. «Se io amo tanto una creatura mortale – confida una volte a Isentrude, la sua serva più fedele – quanto dovrei amare di più il Signore, immortale e padrone di tutti!».
Anche Isentrude ricorda l’amore tenero e forte che legava i due sposi, segno del fatto che l’amore divino non opprime né sopprime gli affetti umani. «Si amavano di un amore meraviglioso – scrive – e s’incoraggiavano dolcemente, l’uno con l’altra, nel lodare e servire Dio».
Elisabetta possiede bellezza, gentilezza e grazia senza bisogno di accorgimenti modaioli, distinguendosi dalle altre nobildonne della Turingia che quasi la disprezzano per la semplicità nel vestire e per la modestia nel vivere. Al punto che nel castello di Wartburg quasi si fatica a distinguerla dalle serve, tanto è affaccendata e rifugge i divertimenti.
D’altro canto di tempo ne avrebbe avuto ben poco per le distrazioni mondane, dato che a vent’anni – rimasta vedova da venti giorni – era già diventata madre tre volte, di un bimbo e due bimbe. L’ultimogenita nasce a pochi giorni dalla morte di Ludovico, partito per la crociata nell’estate del 1227. Quando il messaggero le porta la triste notizia della scomparsa dello sposo in Italia Elisabetta si accascia a terra e dice: «Con Ludovico è morto ogni mio bene al mondo».
Quando era ancora vivo il marito, Elisabetta viveva, scrive sempre Isentrude, «come una religiosa: umile e caritatevole, tutta dedita alla preghiera. Compiva tutte le opere di carità nella più grande gioia dell’anima e senza mai mutar di volto». Spesso lo sposo la trovava a pregare di notte, a sua insaputa, inginocchiata ai piedi del letto coniugale.
Contro Elisabetta, giovane, debole e indifesa, si scatenano i risentimenti e le cupidigie dei cognati che mai avevano sopportato il suo stile di vita fatto di carità, pietà e semplicità, così distante da quello di corte. Approfittando della sua condizione di vedova, i parenti le tolgono tutto, in primo luogo i figli, e la cacciano dal castello. Ridotta in povertà, col cuore colmo di dolore per l’ingratitudine e la separazione dai bambini, Elisabetta dona ai poveri quel poco che le avevano lasciato.
Poi veste l’abito bigio delle terziarie francescane e consacra tutta la sua esistenza al servizio dei poveri, dei malati e dei lebbrosi. Per quattro anni conduce una vita di estrema penitenza e di accesissima carità. Si dedica totalmente ai poveri rinunciando al cibo e al sonno, accorrendo al capezzale degli ammalati. Una vita che finisce per sfibrarla portandola a morire, nel novembre 1231, a soli ventiquattro anni. Quattro anni più tardi papa Gregorio IX riconosce la sua santità e la eleva agli onori degli altari.
Illumina, Dio misericordioso, i cuori dei tuoi fedeli, e per le preghiere gloriose della beata Elisabetta fa’ che noi disprezziamo le prosperità del mondo e godiamo sempre delle consolazioni celesti.
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