Vescovo e teologo siro, Sant’Ignazio di Antiochia è morto martire lasciando scritti davvero edificanti poco prima del martirio.
Chiamato Teoforo, cioè portatore di Dio, Sant’Ingnazio nasce intorno al 35 e le fonti che attestano la sua vita lo collocano come il terzo vescovo di Antiochia, città della Siria.
Dopo Roma ed Alessandria d’Egitto Antiochia era una delle grandi metropoli del mondo antico. Si sa che Ignazio viene a contatto con l’apostolo Giovanni e ne diventa discepolo.
Riceve il mandato episcopale nel 69 e diventa così successore di San Pietro che è stato il primo vescovo della città sira. Eusebio di Cesarea è una fonte certa che nella Storia Ecclesiastica riporta elementi fondamentali ma ci sono anche notizie dalla Lettera ai Filippesi di Policarpo.
Come risulta anche dai suoi scritti Ignazio di Antiochia esortava i cristiani a fuggire il peccato. Lo faceva con toni accesi e infuocati tanto che era identificato metaforcamente con il fuoco in corrispondenza con il significato del suo nome che deriva da ignis, fuoco in latino. La sua preoccupazione era rivolta anche all’unità della Chiesa edi invitava a mantenerla forte e unita.
Il martirio ad bestias e le sue lettere prima di morire
Nel vortice delle persecuzioni ai cristiani dei primi secoli anche Ignazio è vittima di quella dell’imperatore Traiano. Prima viene arrestato ed imprigionato perché la religione cristiana era considerata “superstizione illecita”, negli anni tra il 107 e il 110 è condannato a morte nella forma chiamata “ad bestias”.
I condannati venivano portati nel circo, l’arena in cui avvenivano gli spettacoli e lasciati in pasto alle belve feroci, i leoni nello specifico.
Nel corso del viaggio che lo ha portato da Antiochia a Roma Ignazio scrive 7 lettere fin poco prima di andare incontro al martirio. Le sue lettere sono piene di amore per Cristo e per la Chiesa. Le indirizza alle comunità locali, le prime quattro a quella di Smirne, le altre a quella di Efeso, Magnesia e Tralli, ma anche alla chiesa di Roma dove avverrà il suo martirio.
Portato a Roma, fu esposto alla morte durante i festeggiamenti per l’undicesimo anno di governo di Traiano. Nell’ultima lettera Ignazio ha richiesto ai cristiani di non cercare di impedire il suo sacrificio. Desiderava soffrire come aveva sofferto Gesù in un’unione mistica forte e viva. “Lasciatemi immolare, ora che l’altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate Dio s’è degnato di mandare dall’Oriente in Occidente il vescovo di Siria” erano le sue parole.
Dopo la morte le sue ossa vengono prese e trasportate ad Antiochia dove rimangono sepolte nel cimitero della chiesa fuori della Porta di Dafne. Quando in seguito ci fu l’invasione saracena, intorno al 637 i suoi resti furono traslati a Roma dove si trovano tuttora, nella chiesa di San Clemente in Laterano. La reliquia del cranio è invece custodita, sempre a Roma, nella chiesa che porta il suo nome nella periferia sud della città.