Diocesi di grande importanza invidiavano prima a Bergamo e poi a Padova il santo vescovo Gregorio Giovanni Barbarigo, emulo di San Carlo Borromeo.
A lui si ispirò come modello di vescovo e pastore, prendendo le mosse per la sua azione riformatrice dal grande arcivescovo di Milano, secondo soltanto a Sant’Ambrogio.
Gregorio Barbarigo nasce a Venezia nel 1625 da un’antica e nobile famiglia originaria dell’Istria e immigrata nella città di San Marco. Il padre, profondamente religioso, lo educa nella scienza e nelle virtù. Quando ha 23 anni segue il cugino (Pietro Duodo) a Münster, in qualità di segretario di Alvise Contarini, ambasciatore veneziano al congresso di pace di Westfalia.
Il giovane Barbarigo rimarrà cinque anni in Germania, dove diventerà amico del nunzio papale Fabio Chigi che lo introduce nell’ascetica di San Francesco di Sales avviandolo anche nello studio del latino e delle scienze religiose. Sempre Chigi lo consiglierà, una volta fatto ritorno a Venezia, di laurearsi in diritto canonico in prospettiva di un suo possibile impiego a Roma.
Lui lo ascolta e si laurea a Padova nel 1655. Poi diventa sacerdote: nel frattempo aveva maturato la vocazione presbiterale. Due mesi dopo essere diventato prete, va a Roma dove lo ha chiamato l’amico Chigi, eletto papa col nome di Alessandro VII.
Quando a Roma scoppia la peste il giovane sacerdote, superata la paura iniziale, si dedica con passione all’organizzazione dei soccorsi nel rione di Trastevere. Cessata la pestilenza, viene nominato vescovo di Bergamo. Con sé porta soltanto, dei molti libri che aveva, la biografia di San Carlo Borromeo. Per il grande arcivescovo ambrosiano Gregorio nutre una grande stima, tanto da sceglierlo come modello di vita spirituale e di impegno pastorale.
Al suo esempio si ispira per realizzare nella sua diocesi le riforme volute dal Concilio di Trento. E la sua testimonianza è efficace al punto che gli abitanti di Milano, rivolgendosi ai bergamaschi, si complimentano per il loro vescovo: «Noi abbiamo un santo cardinale morto, san Carlo Borromeo, voi avete un vescovo vivo».
Dopo l’elezione a cardinale viene mandato a Padova dove, dopo l’iniziale diffidenza del capitolo della cattedrale, intimorito dal suo rigore morale e dalla sua decisa volontà riformatrice, si rivela pastore esemplare e instancabile. Visita in più occasioni le 320 parrocchie della diocesi, avviando il processo di riforma del clero. Organizza scuole di catechismo per grandi e piccini, ma soprattutto inaugura il nuovo seminario.
Per poco, nei due conclavi a cui prenderà parte, non viene eletto papa. Muore il 18 giugno 1697, nel corso di una visita pastorale, lasciando in eredità nella sola città di Sant’Antonio 42 scuole di dottrina cristiana, solo una parte però delle 314 scuole sparse in tutta la diocesi. Papa Giovanni XXIII ne riconoscerà la santità nel 1960.
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