Oggi celebriamo una famiglia di martiri. Diedero tutti la vita piuttosto che piegarsi ai voleri di un tiranno che chiedeva loro di rinnegare Cristo.
Il loro luminoso esempio ricorda a tutti noi il “caso serio” della fede cristiana in ogni tempo e in ogni luogo.
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Moglie di San Getulio, Santa Sinforosa viveva al nono miglio della via Tiburtina insieme ai suoi sette figli di nome Crescente, Giuliano, Nemesio, Primitivo, Giustino, Statteo e Eugenio.
Sinforosa abitava vicino all’imponente villa dell’imperatore Adriano, l’uomo che aveva fatto mettere a morte suo marito, oltre al cognato Amanzio e al suo amico Primitivo. Dopo aver completato la sua villa, Adriano la inaugurò consultando gli dèi. Le capricciose divinità che aveva consultato gli rivelarono di sentirsi straziate da Sinforosa e dai suoi sette figli. Qual era la loro colpa? Quella di invocare ogni giorno il loro Dio. L’imperatore si vide perciò porre una condizione: gli deì avrebbe soddisfatto i suoi desideri a patto che Sinforosa e i figli sacrificassero per loro.
Adriano non perse tempo: mandò a chiamare il prefetto Licinio ordinandogli poi di arrestare la santa vedova e i suoi figli. Sinforosa venne condotta al tempio di Ercole. Fu qui che Adriano, alternando minacce e lusinghe, cercò di convincerla a sacrificare agli idoli. Ma da Sinforosa non arrivò altro che un fermo rifiuto.
Richiamandosi all’esempio del suo defunto sposo e dei suoi compagni di martirio, decapitati per il loro rifiuto di offrire sacrifici a false divinità, non volle piegarsi alla volontà di Adriano rifiutando decisamente di sacrificare agli dèi pagani. Anche i suoi figli si mostrarono irremovibili.
Torturata e uccisa per non aver voluto tradire Cristo
A quel punto l’imperatore decise di passare alle maniere forti. Ordinò perciò che Sinforosa venisse torturata a sangue. Ma la crudele tortura non portò a nulla. Irritato e spazientito dalla tenacia della donna, Adriano comandò allora alla guardia di legarle un grosso macigno al collo e di gettarla poi nel fiume Aniene, in modo da farla annegare.
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Dopo toccò ai sette figli di Sinforosa. L’imperatore li prese da parte chiedendo loro ancora una volta di sacrificare agli dèi. Ma i sette ragazzi, fedeli all’eredità materna come all’unico Dio, rimasero fermi nella determinazione a non sacrificare. Anch’essi allora furono portati al tempio di Ercole e pure con loro l’imperatore cercò di portare avanti un’opera di convincimento a suon di minacce e lusinghe.
Il martirio dei sette figli di Sinforosa
Anche in questo caso gli sforzi di Adriano si dimostrarono vani. L’imperatore allora li fece torturare e poi passare a fil di spada.
Il primo dei figli, Crescente, venne trafitto alla gola, Giuliano in petto, Nemesio al cuore. Primitivo si vide trafigge all’ombelico, Giustino alla schiena, Statteo al fianco. L’ultimo a essere ucciso fu Eugenio, orribilmente spaccato verticalmente in due tronconi.
Infine Adriano fece gettare i loro corpi martoriati all’interno di una fossa comune in territorio tiburtino – poi chiamata dai papi “ai sette assassinati”.
I cristiani non subirono più persecuzioni per diciotto mesi. Così il fratello della martire Sinforosa, Eugenio, riuscì a recuperare i corpi della sorella e dei sette figli martirizzati come lei. Li seppellirà lungo la via Tiberina a poca distanza da Roma, all’interno di un loro possedimento.