Il Beato Francesco di Gesù Maria Giuseppe fu avversato per il suo stile di vita profondamente radicato nella povertà e nella lotta senza tregua al demonio.
Il Beato nasce in Catalogna, settimo di nove figli di un modesto contadino, insieme alla moglie entrambi molto fedeli alla religione e alla monarchia. In famiglia crebbe particolarmente devoto, e fin da giovane cominciò ad amare in modo particolare lo studio e i poveri. La sorella lo aiutò a quattordici anni a frequentare il seminario, ospitandolo nella sua casa di campagna a Lérida.
La sua vocazione e gli anni della turbolenza spagnola
Lì vi rimase solo alcuni anni, in cui si distinse fortemente per l’obbedienza e lo spirito di penitenza. Al termine dei quali rinunciò alla borsa di studio e si fece carmelitano, anche se né i genitori né i superiori del seminario erano affatto felici della sua scelta, speranzosi che avrebbe dato forte aiuto alla sua diocesi.
Entrò nel noviziato dell’Ordine a Barcellona con il nome di Fra Francesco di Gesù, Maria e Giuseppe, e fece la solenne professione. In quei tempi però non si viveva di certo nella pace. In Spagna, alla morte del re Ferdinando VII, era scoppiata la guerra civile. I rivoluzionari giravano per le strade con in mano le torce con cui bruciare le case religiose, e per assassinare chiunque si era rifugiato dentro.
Lottò con ogni forza per la Parola e contro la bestemmia
Il Beato non ignorava il pericolo, anzi, ne era pienamente conscio. La sua volontà ferrea di seguire le regole carmelitane, però, andava ben oltre qualsiasi paura di morire. Così il il suo convento fu assalito e incendiato dai rivoluzionari nel 1835. Finì di nuovo a Lérida, dove stabilì la sua residenza tra i monti. Dopo essere divenuto sacerdote, rimase due anni nel suo paese nativo vivendo in una grotta distante due chilometri, rifiutando qualsiasi offerya.
Una volta uscito dalla sua situazione di isolamento, cominciò a predicare ovunque con il suo vestito da carmelitano, diffondendo la Parola anche nelle caserme dei soldati in armi e lottando impunemente contro la bestemmia. Finì esiliato e scrisse in quel tempo la sua prima opera, “La lotta dell’anima con Dio”.
Visse da eremita per cinque anni in una grotta trasformata in cappella
Visse da eremita per cinque anni in una grotta trasformata in cappella nella quale celebrava la Messa e confessava coloro che accorrevano a lui. La fama della sua vita penitente, infatti, cominciò a diffondersi preso, e in poco tempo divenne un religioso di grande autorità, verso cui molti riponevano totale fiducia, considerandolo quasi un oracolo.
Lui percorreva le strade del paese con in mano una croce e predicando a tutti le verità eterne. Alcuni monsignori locali però gli erano molto ostili a causa dell’austerità della vita che conduceva, e soprattutto per le numerose persone che partecipavano alle sue Messe, lasciando vuote quelle parrocchiali.
La sua fama di profeta crebbe giorno dopo giorno
Tutti sapevano che dormiva sulla paglia, pregava e meditava buona parte della notti inginocchiato per terra e che si nutriva quasi esclusivamente di pane acqua, erbe, patate lesse e qualche frutto della regione. Lui, alle critiche e alle opposizioni, rispondeva solo con “pazienza e preghiera”.
Aveva una voce possente, una statura bassa e tarchiata, e agli occhi dei fedeli assumeva l’aspetto di un vero e proprio profeta. Scrisse nel 1861: “La mia unione, le mie nozze spirituali con la Chiesa costituiscono l’oggetto unico e principale che occupa i miei esercizi. Di questo ho piena la testa e il cuore e non so pensare altra cosa e assorbe talmente le mie potenze e i miei sensi, che in cinque giorni sono riuscito a stento a consumare un pane. Ciò nonostante sto bene e non sento il bisogno di mangiare”.
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Un contesto di profonda unione mistica con la Chiesa che lo portò a lottare contro i demoni e fondare gruppi di Terziari e Terziarie Carmelitani che insegnassero ai bambini e agli infermi. Capì in seguito di essere chiamato a guarire gli ossessi. Cominciò così la sua attività di esorcista, fino a che il vescovo di Barcellona gli proibì di continuare la sua attività. Lui continuava però ad essere persuaso dell’importanza del ministero permanente dell’esorcismo, per contrastare l’azione del demonio nella società. Lotta che non venne ascoltata, fino a che Giovanni Paolo II ne riconobbe l’eroicità delle virtù nel 1986 e lo beatificò nel 1988.
Giovanni Bernardi