Oggi 19 novembre: Servo di Dio Dolindo Ruotolo | Il suo dialogo soprannaturale con Santa Gemma Galgani

Il sacerdote napoletano don Dolindo Ruotolo affronterà per tutta la vita il martirio del cuore, non quello del sangue.

Innamorato della Madonna, sarà esemplare per obbedienza in una esistenza segnata da tanti dolori, come diceva il suo nome.

Oggi 19 novembre: Servo di Dio Dolindo Ruotolo | Il martire del cuore
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Perché il nome Dolindo?

«Fui chiamato Dolindo, Che significa dolore… ». Con queste parole di Don Dolindo Ruotolo era solito spiegare il significato del nome inusuale che il padre gli aveva imposto col battesimo. Un nome, diremmo oggi, che era tutto un programma. Nella fattispecie il programma di vita che, anche in maniera irriflessa, non meditata, inconsapevole il genitore prospettava al piccolo Dolindo, quinto dei suoi undici figli.

Dolindo Ruotolo nasce a Napoli il 6 ottobre 1882. È il figlio di Raffaele Ruotolo, ingegnere e matematico, e di Silvia Valle, discendente della nobiltà ispanica e napoletana. Ben presto sperimenta sulla propria pelle l’antico detto nomen omen. Infatti il dolore fa irruzione molto presto nell’esistenza di Dolindo, che fin dalla più tenere età soffre di svariate malattie.

E per giunta soffre anche la fame: le scarse entrate e l’indole tendente all’avarizia del padre rendono la vita dura alla numerosa famiglia Ruotolo. Così in casa non si patisce soltanto la fame, mancano anche vestiti e scarpe. Infine nel 1896 i coniugi Ruotolo finiscono per separarsi, con grande dolore dei figli.

Il martirio del cuore

Così Dolindo, insieme col fratello Elio, viene condotto alla scuola apostolica dei Preti della Missione. Tre anni più tardi viene ammesso al noviziato.Nel suo cuore si fa strada il desiderio della missione, tanto che nel 1903 chiede di andare in Cina per fare il missionario.

La risposta del Visitatore dell’Ordine gli si imprimerà come un marchio a fuoco: «Dio le dà questo desiderio per prepararla alle sofferenze e all’apostolato. Sara martire, ma di cuore, non di sangue. Rimanga qui e non ne parli più».

Dolindo rimane e due anni più tardi, il 24 giugno 1905, diventa sacerdote. Anche nella sua vita sacerdotale dovrà affrontare il martiro del cuore che gli era stato preannunciato. Diversi episodi dolorosi dovuti a incomprensioni lo portano a essere sospeso dall’esercizio del sacerdozio e all’isolamento. Sono false accuse a cui però don Dolino non risponde. E tanto meno si ribella alle autorità ecclesiali. L’unica sua risposta è la costante obbedienza alla Chiesa.

Il suo dialogo con Santa Gemma dopo la morte

Durante gli anni della sua solitudine inizia a ricevere delle comunicazioni soprannaturali che mette per iscritto. Soprattutto quanto gli viene rivelato per mezzo di Gemma Galgani, la giovanissima e bellissima Santa di Lucca stimatizzata. Il 22 dicembre 1909 è il Salvatore stesso a parlargli solennemente dell’Eucarestia.

Devoto della Vergine Maria, diceva spesso che «il Rosario è l’arpa dell’anima e ci insegnava a recitare tre Ave con le braccia aperte, “perché così la Mamma pensa al figlio in croce e ottiene per noi ogni grazia”».

Il riscatto

Alla fine arriva per lui la totale e definitiva riabilitazione: Don Dolindo viene reintegrato nelle facoltà del ministero sacerdotale il 17 luglio 1937.

La sua vita di sacerdote, ormai diocesano, continua a Napoli nella chiesa di San Giuseppe dei Nudi. Nel 1960 però va incontro a un altro calvario: un ictus gli paralizza la parte sinistra del corpo. Ma anche così don Dolindo non si ferma. Non smette di scrivere alle sue figlie spirituali sparse un po’ dappertutto. Finché, dopo dieci anni di questi patimenti fisici, muore il 9 novembre 1970.

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