San Vincenzo Romano, sacerdote e predicatore instancabile, ha messo al centro della sua azione pastorale l’annuncio del Vangelo. Il suo motto era “dobbiamo fare bene il bene”.
Ha inventato un metodo pastorale molto originale, da autentico “pescatore di uomini”, adeguandosi a una popolazione fatta prevalentemente di pescatori in mezzo ai quali non si stancava di proclamare la Parola di Dio prendendosi cura di ogni loro bisogno, spirituale ma anche materiale.
Vincenzo Romano nasce a Torre del Greco, a Napoli, il 3 giugno 1751. È figlio di Nicola Romano e Grazia Rivieccio, genitori di una famiglia numerosa e di modesta condizione. Riceve il battesimo nella locale chiesa parrocchiale di Santa Croce di cui per decenni diventerà poi parroco.
La famiglia Romano è povera ma di grande fede e il piccolo Vincenzo respira a pieni polmoni la religiosità profonda di cui è impregnato il clima familiare. Così si fa largo in lui la chiamata a farsi sacerdote: a 14 anni entra nel seminario diocesano di Napoli e il 10 giugno 1775 riceve l’ordinazione sacerdotale.
Da sacerdote si dedica con particolare zelo alla celebrazione dei sacramenti, alla catechesi. Assiste anche i poveri, gli ammalati e i marinai del posto, al punto da meritarsi la nomea di “celebre faticatore” e di “operaio instancabile”.
Al centro del ministero sacerdotale di don Vincenzo c’è soprattutto l’annuncio della Parola di Dio, che lui considera prioritario. Tanto che predica ogni giorno alla sua gente e ben cinque volte la domenica. Il suo motto ispiratore preferito è “dobbiamo fare bene il bene”.
Tra le iniziative più originali del sacerdote c’è senza dubbio l’introduzione a Torre del Greco del metodo pastorale della “sciabica”, dal nome con cui i pescatori di Torre del Greco indicavano le reti a strascico e la tecnica di pescare con queste reti.
Per il santo parroco fare la “sciabica” voleva dire imitare il pescatore evangelico: fare una “retata” di anime per il Signore girando nelle piazze nei giorni di festa per predicare all’aperto col crocifisso in mano, nei crocicchi dove più era vivace la vita pubblica, per radunare i distanti dalla fede e portarli in chiesa.
Dopo la tremenda eruzione del Vesuvio del 5 giugno 1794 si dedica immediatamente alla non facile opera di ricostruzione spirituale, morale e materiale della città partenopea e della chiesa.
Il 1° gennaio 1825 cade fortuitamente e si frattura il femore. Da quell’infortunio non guarirà mai più. Gli si formano anche grosse piaghe che lo costringono all’immobilità. Così per diversi anni sarà “uomo di dolore”, come cominciano a chiamarlo i suoi parrocchiani.
Si spegne il 20 dicembre 1831, stroncato da una polmonite. Lo ha canonizzato papa Francesco il 14 ottobre 2018. A Torre del Greco lo festeggiano il 29 novembre.
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