Sacerdote esemplare, viene vigliaccamente ucciso dai mafiosi per il suo impegno coi giovani. Uccidendolo, credevano di averlo sconfitto. Ma è stato lui a vincere, con Cristo Risorto.
Il suo martirio mite e eroico ha spinto i suoi stessi sicari a intraprendere un cammino di conversione.
Giuseppe Puglisi nasce a Palermo nel quartiere Brancaccio, popoloso rione all’estrema periferia meridionale del capoluogo siciliano. Il Brancaccio ha tutte le parvenze di quella che papa Francesco definirà una “periferia esistenziale”: una terra di frontiera che vede mescolarsi miseria (soprattutto materiale ma non di rado anche morale), delinquenza, corruzione. Ma soprattutto terra di mafia.
Giuseppe vede la luce il 15 settembre 1937 in una famiglia di umili origini: papà Carmelo è calzolaio, mamma Giuseppa fa la sarta. Entra nel seminario di Palermo nel 1953, nel 1960 diventa sacerdote. Sulla tradizionale immaginetta-ricordo vuole che siano scritte parole che suonano come una profezia: «Accetta, Signore, l’olocausto della mia vita». Per diversi anni don Giuseppe, meglio conosciuto come don Pino, svolge i più svariati incarichi: dall’insegnamento alla pastorale vocazionale, dalla direzione spirituale di giovani e religiose alla rettoria del seminario minore. Accompagna anche le giovani coppie.
Storia di un prete «rompiscatole»
In questi anni don Pino Puglisi matura quell’esperienza che farà di lui, oltre che un fine educatore, un incisivo formatore di coscienze. Amava definirsi un «prete rompiscatole», un sacerdote che non lasciava dormire sonni tranquilli ai suoi interlocutori, sollecitandoli a una sempre maggiore fedeltà al Vangelo. Usava rapportarsi con ciascuno sulla base della «vocazione fondamentale» di ogni persona: quella di «entrare in comunione con Dio, un Dio che è amore ed è pieno di tenerezza».
Per otto anni, dal 1970 al 1978, è parroco a Godrano, paese della provincia palermitana dove in quegli amni infuria una feroce lotta tra clan mafiosi. Don Pino, con la sua opera di evangelizzazione, riesce a far riconciliare le famiglie sanando la faida.
Il ritorno al Brancaccio
Nel 1990 fa ritorno, ormai da uomo e sacerdote maturo, al quartiere della sua infanzia: il Brancaccio, dove va a fare il parroco della chiesa di San Gaetano. Sempre al Brancaccio fonda il centro “Padre Nostro” per strappare i giovani alle mani rapaci della mafia, predica in chiesa con toni e giudizi che non lasciano spazio a equivoci di sorta. Promuove anche marce antimafia. Iniziano a arrivargli i primi avvertimenti: le molotov, le porte incendiate, le minacce di morte.
I mafiosi lo condannano a morte
Ma don Pino non è tipo da farsi intimidire facilmente: «Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti», dice in chiesa. I mafiosi decidono allora di mettere in pratica le loro minacce omicide: il boss Graviano decreta la condanna a morte del sacerdote.
Lo uccidono il 15 settembre 1993, la sera del suo cinquantaseiesimo compleanno, mentre sta facendo rientro a casa. Per ammazzarlo mandano quattro sicari. Ma uno solo apre il fuoco contro di lui: il killer della mafia lo uccide sparandogli un colpo di pistola alla nuca, cercando di far passare un’esecuzione in piena regola come una rapina finita male.
Il suo esecutore, Salvatore Grigoli, ricorda l’ultimo sorriso e le parole di don Pino prima di premere il grilletto: «Me l’aspettavo».
La conversione dei sicari
Grigoli, killer spietato e navigato con un “curriculum” di 46 omicidi all’attivo, esegue ancora una volta il suo sporco compito. Per la sua provata abilità i soldati di Cosa Nostra lo chiamano, non a caso, il «Cacciatore». Ma quella volta è diverso. Fin da subito, racconterà, quell’uccisione «ci sembrò subito come una maledizione, perché da allora cominciò ad andarci tutto storto».
Grigoli e un altro sicario del commando assassino, Gaspare Spatuzza, inizieranno un cammino di conversione attribuendo il loro ravvedimento alla testimonianza del sacerdote, del cui perdono si sono detti certi.
Il trionfo di don Pino, con Cristo Risorto
Don Puglisi, prima vittima di mafia riconosciuta come martire della Chiesa, viene beatificato il 25 maggio 2013 sul prato del Foro Italico di Palermo, davanti a una sterminata folla di circa centomila fedeli.
Il giorno dopo, durante l’Angelus domenicale papa Francesco ha voluto ricordare il sacerdote martirizzato dai mafiosi: «Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto».
Riconoscendo la morte di don Pino Puglisi come martirio “in odio alla fede”, la Chiesa sottrae così alla mafia di quell’aura di pseudo religiosità di cui troppo spesso si ammantano i boss.