Giuseppe Cafasso fu uno straordinario sacerdote, uno dei santi protagonisti di pagine luminosissime nella storia della pietà e della carità cristiane.
Amico e consigliere di don Bosco, si dedicherà in particolare all’accompagnamento dei carcerati condannati a morte. Unendo pietà e compassione, senza mai rinunciare a sollecitarli in direzione del ravvedimento, della conversione e di una dignità da recuperare. Da fedele discepolo del Dio cristiano che, come ha detto Gustave Thibon, «è insieme l’esigenza infinita (siate perfetti) e l’indulgenza infinita».
Il futuro sacerdote Giuseppe Cafasso nacque a Castelnuovo d’Asti nel 1811, quattro anni prima del suo illustre compaesano Giovanni Bosco. Fin da giovane si mostrò riflessivo, amante della preghiera e dello studio.
Entrato in seminario a Torino ne uscirà sacerdote nel 1833, a 22 anni. Decisamente meno affascinante di don Bosco per via del suo fisico gracile e minuto, la spina dorsale deviata lo faceva andare via gobbo. Al punto che lui stesso si definirà «una mezza creatura». Ma quel corpo sgraziato ospitava tesori preziosi: una smisurata carità unita a una grande intelligenza.
Insegnante ricco di calore e confessore instancabile
Giovanissimo insegnante di teologia in seminario, si guadagnerà la stima dei suoi allievi non solo per la lucidità dell’insegnamento ma soprattutto per il calore e l’entusiasmo che riusciva a trasmettere loro. Il suo punto di forza? Una testimonianza esemplare di vita.
Ma la sua cattedra più preziosa, ancorché più angusta, non fu quella del seminario: fu quella del confessionale. Per confessarsi da lui i fedeli facevano la ressa. A tutti don Cafasso comunicava, insieme alle parole del perdono di Dio, coraggio e forza per andare avanti, malgrado i cedimenti, nella via della santificazione.
La nascita del «prete della forca»
Pazienza, lucidità e disponibilità erano le parole d’ordine del sacerdote che unì alla misericordia del confessionale anche quella praticata nelle carceri della città. Al punto che cominciarono a chiamarlo «il prete della forca» per lo zelo appassionato con cui accompagnava i condannati a morte al patibolo porgendo immancabilmente loro il crocifisso su cui deporre l’ultimo bacio.
Anche i più incalliti delinquenti lo amavano tanto da confessargli: «Signor Cafasso, se
viaggiando qualcuno la aggredisce non ha che da dire: “Sono don Cafasso”, e sarà rispettato e fatto rispettare».
L’incontro e l’amicizia con don Bosco
La sua vicenda umana si incrociò con quella di don Bosco al tempo in cui don Cafasso era diventato rettore del convitto ecclesiastico. Un giorno don Bosco gli riempì il convitto di giovani e ragazzini schiamazzanti che aveva raccattato alla periferia della città di Torino.
Quando poi don Bosco si vedrà costretto, e non certo per colpa di don Cafasso, a levare le tende per trasferirsi nella tettoia di Valdocco, don Cafasso gli sarà sempre vicino non solo coi consigli ma anche con aiuti finanziari.
Alla sua morte, avvenuta a soli 49 anni nel 1860, donò a don Bosco e ai ragazzi del Cottolengo le poche cose possedute. Nel 1947 Giuseppe Cafasso sarà proclamato santo e indicato come patrono dei cappellani delle carceri e dei carcerati. I quali non potevano trovare protettore più degno di colui che sarebbe stato definito «perla del clero italiano», sacerdote modello e guida dei sacerdoti torinesi.