Grande Predicatore e difensore dell’ortodossia, San Giovanni da Capestrano fu intimo amico di San Bernardino da Siena col quale condivise la devozione al Santissimo Nome di Gesù e la riforma dell’Osservanza francescana.
Ricco di spirito combattivo e grande trascinatore, fu anche protagonista assoluto del suo tempo per il ruolo decisivo nella battaglia che spezzò l’assedio turco di Belgrado e difese l’Europa cristiana.
Giovanni nasce a Capestrano, vicino all’Aquila, nel 1386. Il padre è un barone tedesco, la madre è abruzzese. Per i suoi capelli, simili a fili d’oro, questo biondo incrocio tra il cavaliere germanico e la fanciulla abruzzese viene soprannominato «Giantudesco».
Studia diritto canonico e civile a Perugia. Si laurea e diventa un ottimo giurista, al punto che Ladislao di Durazzo lo nomina governatore di quella città. Nel 1415, in seguito al conflitto tra Perugia e Rimini, «Giantudesco» cade prigioniero dei Malaspina. Come aveva fatto prima San Francesco e farà poi Sant’Ignazio di Loyola, la “sosta” forzata in carcere lo spinge a meditare sulla vanità del mondo e dei suoi onori.
L’incontro con San Bernardino da Siena
Una volta terminata la prigionia si fa frate francescano, entrando nell’ordine dove San Bernardino da Siena stava promuovendo la riforma della cosiddetta «Osservanza». Giovanni si lega profondamente al santo riformatore. E lo difende a spada tratta quando, a causa della devozione del Santissimo Nome di Gesù, il santo senese si vede accusare d’eresia.
Anche Giovanni da Caprestrano prende come proprio emblema il monogramma di San Bernardino di Cristo Re. I suoi interessi principali sono la predicazione, la difesa della ortodossia cattolica e la riforma dei frati minori.
Per la sua fama di giurista e per le abilità diplomatiche riceve diversi incarichi – tra i quali quello di inquisitore – dai papi che conosce. Si impegna in particolare a contrastare i Fraticelli, una corrente staccatasi dai francescani e caduta nell’eresia.
Grande trascinatore e ottimo predicatore, tanti si convertono grazia alla sua parola. Va in missione anche in Europa centrale (Austria, Baviera, Polonia) dove cerca di riconvertire gli ussiti. Autore di incisive prediche contro l’usura
«Ovunque c’era da incitare, da guidare e da combattere – scrive Pietro Bargellini –, Giantudesco alzava la sua bandiera fregiata dal raggiante stemma di Gesù o addirittura una pesante croce di legno, che ancora si conserva all’Aquila, e si gettava nella mischia, con teutonica fermezza e con italico ardore».
Apostolo dell’Europa
Quando è già avanti negli anni, lo esortano a predicare la crociata contro i Turchi che si affacciano minacciosi alle porte dell’Europa dopo aver conquistato Costantinopoli. Gira per mesi in Austria, Germania e Ungheria incontrando autorità religiose e secolari e predicando alle popolazioni la necessità di opporsi all’espansionismo turco.
Nel 1456, a settant’anni, si trova coinvolto nella battaglia di Belgrado investita dai Turchi. Allora si mescola ai combattenti, tra i quali serpeggiava l’incertezza per la sorte della battaglia, e li incita a aver fede nel nome di Gesù durante la battaglia che ferma l’avanzata turca. «Sia avanzando che retrocedendo – grida loro, – sia colpendo che colpiti, invocate il Nome di Gesù. In Lui solo è salute!».
È così che un frate si trasforma in un generale che per undici giorni e undici notti di fila non abbandona mai il campo di battaglia. Un’azione che gli guadagna il titolo di «apostolo dell’Europa».
Uno sforzo che gli costa la vita. Si ammala di peste e muore tre mesi dopo nel convento di Ilok, in Croazia, non senza aver consegnato ai suoi fedeli la Croce, emblema di Cristo Re servito da Giovanni fino allo stremo delle forze.
Patrono dei cappellani militari e dei giuristi, per la sua instancabile opera papa Pio XII lo chiamerà, nel quinto centenario della morte, «apostolo dell’Europa», «atleta di Dio» e «modello di cattolicità».