Dopo la morte di quello che è considerato il «Padre Pio del Libano» avverrà un prodigio incredibile.
Ma si moltiplicheranno anche i miracoli e le guarigioni operate grazie alla sua intercessione. E non solo a beneficio dei cristiani.
Youssef Antoun Makhlouf nasce nel 1828 in Libano, nel villaggio di Beqaa Kafra. Quinto figlio di una famiglia contadina, ha soltanto tre anni quando rimane orfano del padre. La madre del piccolo Youssef si risposa due anni dopo con Lahhoud Ibrahim, uomo pio e devoto, ordinato (come permette l’uso orientale) prima diacono e poi sacerdote.
Il padre acquisito sarà un modello esemplare di vita cristiana per Youssef che nel frattempo impara l’arabo e il siriaco alla scuola del villaggio. Ha dieci anni quando per aiutare la famiglia si mette a fare il pastore.
Proprio mentre pascola il gregge inizia a manifestarsi in lui la vocazione alla vita contemplativa. Non di rado infatti si ritira in una grotta poco fuori il villaggio dove, inginocchiato davanti a un’immagine della Vergine Maria e totalmente immerso nel mistero di Dio, si ferma a pregare per ore. Ancora oggi la grotta dove pregava San Charbel, conosciuta come la «grotta del Santo», è meta di pellegrinaggi.
L’imperiosa vocazione alla vita monacale
A ventitré anni se ne va di casa per seguire la chiamata imperiosa che sente montare in lui. Si mette in cammino verso il monastero di Nostra Signora di Mayfouq dove, pochi mesi dopo, diventa monaco dell’Ordine libanese maronita. Assume il nome di Charbel (che in siriaco significa «racconto di Dio» o «storia di Dio») in onore di un martire antiocheno.
Ordinato sacerdote nel 1859, i superiori lo rimandano nel monastero di Annaya, dove qualche tempo prima aveva emesso i voti perpetui. Vi rimarrà per quindici anni obbedendo in tutto ai superiori, eseguendo qualunque mansione gli venga indicata, a partire del lavoro nei campi.
Lui però ama soprattutto pregare e contemplare. Digiuna e veglia incessantemente, passando intere ore inginocchiato davanti al Santissimo Sacramento. Centro della sua giornata e cuore della sua vita sacerdotale è la Santa Messa. Dal monastero esce soltanto quando glielo ordinano i superiori: per recarsi in visita ai malati o per somministrare i sacramenti.
Dal monastero all’eremo
Nel 1875 chiede di ritirarsi in un eremo per essere ancora più unito a Dio. Qui trascorre gli ultimi ventiquattro anni della sua vita terrena, completamente assorbito dalla preghiera silenzioso, facendo penitenze e digiuni.
Nel dicembre 1898 un ictus lo colpisce mentre sta celebrando Messa. Il malore lo coglie al momento dell’elevazione, mentre sta sollevando l’ostia e il calice consacrati. La morte sopraggiunge otto giorni dopo, alla vigilia di Natale, durante i quali aveva continuato a pregare e a rispettare la regola.
I miracoli alla morte del Santo
Dopo la morte comincia a manifestarsi tutta una serie di miracoli. Dalla tomba del Santo ben presto inizia ad apparire di notte una luce intensissima visibile in tutta la valla. Una gran folla di persone viene richiamata dal prodigio. E quando un giorno viene aperta la tomba si scopre che il corpo di San Charbel è incorrotto.
In altre due occasioni la tomba viene riaperta perché il corpo trasuda sangue e acqua. Con l’ultima riapertura, risalente al 1950, il volto del santo monaco rimane impresso sopra un panno. Tra i presenti si segnalano numerose guarigioni istantanee, anche tra musulmani.