San Luigi Guanella, sacerdote, è stato uno dei massimi «santi sociali» del XIX secolo e il suo motto era «è Dio che fa».
Era un «prete del fare». Il segreto del suo febbrile attivismo stava però nel «far fare» a Dio e alla Madonna, ai quali affidava totalmente la guida delle sue opere.
Luigi Guanella nasce nel 1842 a Fraciscio di Campodolcino, un piccolo villaggio della Val San Giacomo (Sondrio). Fin da bambino il piccolo Luigi, nono di tredici figli, assorbe si può dire col latte materno i solidi valori dei valligiani: l’abitudine al lavoro e lo spirito di sacrificio, la pazienza, la concretezza, l’autonomia e la fermezza nelle decisioni da prendere. E soprattutto una grande fede.
Sono i medesimi valori che gli trasmette la famiglia: il padre (per quindici anni il sindaco del paese) è un uomo dal temperamento severo e autoritario; la madre è invece donna dolce e paziente. Nel 1866 diventa sacerdote e inizia con entusiasmo la sua attività pastorale in Valchiavenna.
Fin dagli esordi a Savogno rivela i suoi obiettivi pastorali: istruire ragazzi e adulti, elevare i parrocchiani sul piano religioso, morale e sociale, curarsi dei più poveri.
Sempre nel periodo di Savogno avvicina l’opera del Cottolengo e l’esperienza di San Giovanni Bosco, che incontra a Torino e col quale trascorre tre anni. Al centro dell’opera di don Luigi Guanella ci saranno sempre bambini e giovani, emarginati, anziani abbandonati, malati psichici ma anche storpi, ciechi, sordomuti.
In pratica, potremmo dire che il «povero prete di campagna», come si definiva, si dedicava a quell’umanità intermedia tra i giovani di don Bosco e gli inabili del Cottolengo: persone ancora in grado di riprendersi, un duro terreno sul quale lavorare, come la valle da cui proveniva, ma capace di dare frutti insperati se lavorato con amore.
Il sacerdote valtellinese, discepolo spirituale di Don Bosco e del Cottolengo, emulo di Don Orione e di Santa Francesca Saverio Cabrini, inizia molte opere benefiche. Opere che fioriscono rapidamente grazie alla sua capacità di infondere coraggio e entusiasmo ai suoi collaboratori.
Fonda istituti sull’esempio del Cottolengo, per ad accogliere numerosi derelitti e di minorati. Istituisce le comunità delle Figlie della Provvidenza e dei Servi della Carità, che si diffonderanno in molti Paesi.
Un altro motto del prete di Sondrio, quando si tratta di aiutare il prossimo, è «senza eccezioni». Senza eccezioni, cioè senza guardare a età, condizioni sociali, classe, ideologia politica e tanto meno a razza o nazionalità. A contare è solo la necessità.
Don Luigi Guanella è un grande annunciatore della paternità di Dio, una verità che per lui è realtà: un’esperienza mistica, viva, profonda e diretta. Dio è padre di tutti, non dimentica nessuno dei suoi figli.
Sono anni quelli dove impera l’anticlericalismo di stampo liberal-massonico. E così le autorità laiche guardano con sospetto questo prete sempre in movimento e dallo spirito battagliero, non risparmiandogli persecuzioni e ingiustizie. Viene persino segnalato tra i soggetti pericolosi (“legge dei sospetti”). Ma don Guanella supera tutto con la forza della sua fede e il fuoco della carità «senza eccezioni».
Una volta viene praticamente esiliato e confinato in una sperduta parrocchia di montagna. Ma niente sembra fermare quest’uomo dal carattere energico e volitivo, che agisce senza indugi, talvolta anche in maniera impulsiva e irascibile. Così anche nei luoghi più isolati, riesce a accendere e a alimentare incendi di carità.
Va anche in America (a 70 anni), al seguito degli emigranti e per prestare loro l’assistenza religiosa. Apre scuole e oratori per istruire i giovani. Non lesina mezzi e energie per assistere i terremotati (di Reggio Calabria, Messina, della Marsica).
Per la sua volontà indomabile e la sua instancabile attività a cavallo dei due mondi papa Pio XI lo definirà il «Garibaldi della carità».
Un Garibaldi che però alimenta la sua vita di santità con le devozioni al Sacro Cuore, alla Vergine Immacolata, saldandole a una vita fatta di ascesi, penitenza, disciplina e sacrificio. Il tutto con uno stile che si sostanzia di semplicità, misericordia, comprensione, speranza e gioia.
Si spende anche in favore delle vittime della guerra, guadagnandosi anche una medaglia d’oro dalle autorità della città di Como. Proprio a Como il «Garibaldi della carità» termina la sua operosa esistenza terrena (il 24 ottobre 1915) lasciando in eredità una moltitudine di opere e istituzioni.
Proclamato beato da papa Paolo VI il 25 ottobre 1964, viene canonizzato da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011.
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