Oggi la Chiesa commemora la figura di un giovane monaco trappista spagnolo colpito ancora novizio da una grave malattia.
Teneramente e filialmente devoto a Maria, sopporterà con coraggio l’infermità offrendo le sue sofferenze e confidando sempre in Dio.
Raffaele Arnáiz Barón il 9 aprile 1911 nasce a Burgos, in Spagna, in una famiglia di elevata condizione sociale e dalla profonda fede cristiana.
Fin da piccolo, dopo aver ricevuto i sacramenti e iniziato gli studi nel Collegio dei Padri Gesuiti viene colpito da persistenti febbri colibacillari lo costringono a interrompere gli studi. Dopo la guarigione il padre, desideroso di ringraziare per quello che considera un intervento speciale della Vergine Santissima, verso la fine dell’estate del 1921 lo porta con sé a Saragozza per consacrarlo alla Vergine del Pilar. Sarà un fatto che segnerà nel profondo l’animo di Raffaele.
Prosegue gli studi presso i Gesuiti anche quando la famiglia si trasferisce a Oviedo e ottiene la maturità scientifica. Si iscrive poi alla Scuola Superiore di Architettura di Madrid, unendo lo studio a una fervorosa e costante vita di pietà.
Raffaele non ha solo un ingegno brillante e versatile. Dimostra anche un grande senso dell’amicizia e finezza di tratto. Si distingue per il temperamento allegro e gioviale, sportivo. Ama la musica, il teatro, ha del talento per il disegno e la pittura.
A Madrid, nel suo programma di studio molto impegnativo e ordinato inserisce anche una lunga visita giornaliera al Santissimo Sacramento (da lui detto il «Padrone ») nella Cappella del «Caballero de Gracia». Segue con scrupolosa osservanza i propri turni di adorazione in quanto membro dell’Associazione per l’Adorazione Notturna.
Nel suo cuore comincia a maturare una chiamata speciale alla vita contemplativa. Così a metà febbraio 1934, dopo aver interrotto gli studi universitari, fa il suo ingresso come novizio nella Trappa di San Isidro di Duenas. A casa scrive entusiasta di essere convinto che «Dio ha fatto la Trappa per me e me per la Trappa».
Pochi mesi dopo arriva per lui una pesante prova: colpito da una gravissima forma di diabete mellito deve abbandonare rapidamente il monastero per fare ritorno in famiglia, per ricevere le cure adeguate dai suoi genitori. La malattia mina il suo fisico forte: in appena otto giorni arriva a perdere 24 chili di peso.
Rientra alla Trappa appena ristabilito, ma le sue condizioni di salute sono ormai compromesse e lo costringeranno a più riprese ad abbandonare il monastero. A quel punto chiede di essere accolto come semplice “oblato”. A fasi alterne Raffaele abita dunque nell’infermeria come ospite. Suo unico desiderio è quello di «vivere la mia vita di infermo nella Trappa con il sorriso sulle labbra», interamente convinto che «il mio centro non è la Trappa, né il mondo, né alcuna creatura, ma solo Dio, Dio crocifisso».
Il giovane offre le sue sofferenze da «oblato infermo e inutile.. per i peccati dei miei fratelli, per i sacerdoti, i missionari, per le necessità della chiesa, per i peccati del mondo».
In una lettera allo zio Leopoldo (17 aprile 1936) scrive che «la grande felicità della terra è l’essere sospeso alla mano di Dio. Adesso mi sono reso conto che la mia malattia è il mio tesoro nel mondo … Com’è grande Dio, fratello! Come dispone bene le cose, come va facendo l’opera sua! Non c’è da far altro che lasciarsi condurre; credimi, è molto facile e quando arrivi a non avere altri desideri di quelli di Dio, allora tutto è fatto e rimane soltanto il fatto di aspettare».
Consuma la sua vita nella contemplazione del mistero dell’Assoluto, teneramente e filialmente devoto alla Vergine Maria — che ama chiamare «la Signora». Fra Raffaele muore il 26 aprile 1938, arso dalla febbre. Nasce al cielo ad appena 27 anni di età, dopo aver passato 19 mesi e 12 giorni nella Trappa.
I tanti scritti spirituali che ha lasciato ne fanno uno dei maggiori mistici dello scorso secolo. Beatificato da Giovanni Paolo II nel 1992, la canonizzazione arriverà con Benedetto XVI l’11 ottobre 2009.
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